Ieri, giorno in cui era previsto l’avvio della discussione in Senato sulla riforma del reato di violenza sessuale, la maggioranza ha deciso di fermare tutto. La legge, che introduce nel codice penale il concetto di “consenso libero e attuale”, era stata approvata all’unanimità alla Camera e presentata come un accordo bipartisan tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. Ma in commissione Giustizia, guidata dalla leghista Giulia Bongiorno, la coalizione di governo ha chiesto un rinvio per “ulteriori approfondimenti”.

Il governo insiste che il provvedimento “si farà”. L’opposizione parla invece di un “voltafaccia” e di un patto politico tradito.

 

Perché è stata fermata

La richiesta di rinvio è partita dalla Lega ed è stata poi seguita da Fratelli d’Italia e Forza Italia: tutte e tre le forze della maggioranza hanno detto di voler chiarire soprattutto il significato del comma sulla “minore gravità”, che prevede una riduzione della pena fino ai due terzi. È un passaggio già presente nel codice penale e sempre considerato ambiguo, secondo Giulia Bongiorno, che chiede “definizioni più chiare”.

“È vero che c’era un accordo tra Schlein e Meloni, ma non nel dettaglio, del singolo comma, o che la norma dovesse passare il 25. Escludo categoricamente di parlare di ritardi e di rinvii”, così Giulia Bongiorno a Radio 24.

«Il ddl sul consenso è assolutamente condivisibile come principio, però una legge che lascia troppo spazio alla libera interpretazione del singolo è una legge che rischia di intasare i tribunali e di alimentare lo scontro invece di ridurre le violenze». Così il leader della Lega Matteo Salvini a margine della conferenza stampa convocata dal partito alla Camera sui risultati delle regionali.

In realtà, il rinvio ha motivazioni anche politiche. I risultati delle ultime elezioni regionali hanno rafforzato la Lega, soprattutto in Veneto, e il partito di Matteo Salvini ha colto l’occasione per mostrare il proprio peso nella coalizione. Salvini ha sostenuto pubblicamente che la formulazione del consenso “lascia spazio a interpretazioni arbitrarie e rischia di intasare i tribunali”.

 

Le reazioni

La leader dem non ci sta e si rivolge direttamente “ai piani alti”. “Ho sentito Giorgia Meloni e le ho chiesto di far rispettare gli accordi”, dice Elly Schlein in Transatlantico. La legge “era stata approvata all’unanimità meno di una settimana fa. Ora sarebbe grave se, sulla pelle delle donne, si facessero rese dei conti post elettorali all’interno della maggioranza. Auspico Meloni faccia rispettare gli accordi”, aggiunge. 

Il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia, chiede «chiarezza perché non possiamo giocare. Governo e maggioranza devono dirci con chiarezza cosa vogliono fare. Non è accettabile per noi che la legge venga di fatto svuotata e smontata, smentendo di fatto anche la presidente del Consiglio che aveva concordato con l’opposizione di approvare il testo così come è stato approvato all’unanimità dalla Camera».

“È un voltafaccia della maggioranza, non ci fidiamo più”, scandisce la capogruppo Iv Maria Elena Boschi.

La ministra per le Pari opportunità Eugenia Roccella ha riconosciuto che “qualche correzione potrebbe essere necessaria”, soprattutto sulla definizione di “consenso libero e attuale” e sul timore di rovesciare l’onere della prova. Ma ha ribadito che “la legge si farà”.

 

I prossimi passaggi

La commissione Giustizia del Senato organizzerà un breve ciclo di audizioni con esperti indicati dai gruppi parlamentari. Il voto sul testo è quindi rimandato almeno di qualche settimana. Ieri, dopo l’annuncio del rinvio, i partiti di opposizione hanno lasciato l’aula in segno di protesta.

È probabile che il testo venga modificato, anche se il governo sostiene che l’impianto generale resterà invariato. Ma lo stop ha già riaperto i rapporti di forza nella maggioranza e messo in discussione l’accordo politico che aveva permesso l’approvazione rapida del provvedimento alla Camera.

 

Che cosa prevede la legge sul consenso

La riforma modifica l’articolo 609-bis del codice penale, sostituendo l’attuale modello “vincolato” — in cui la violenza sessuale è definita da costrizione, minaccia o abuso di autorità — con un modello basato sul consenso.
Il testo approvato alla Camera stabilisce che la violenza sessuale si configura quando un atto sessuale è compiuto “senza il consenso libero e attuale” della persona coinvolta e prevede pene da 6 a 12 anni.

È un cambiamento molto rilevante: oggi alcuni comportamenti non violenti o non minacciosi, pur privi di consenso, non vengono considerati penalmente come violenza sessuale. Con questa modifica l’Italia si allineerebbe ai 21 paesi europei che già hanno introdotto il principio “solo sì significa sì”.

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