Dal 28 agosto su Sky e in streaming su Now serie che racconta l’ascesa della dinastia dei Lakers. La regista Salli Richardson-Whitfield: «Una “Succession” del basket»
«Per chi è interessato al basket in questa seconda stagione ci sono incredibili scene di gioco. Per tutti gli altri c’èil racconto della storia dei
Lakers
, l’incredibile saga familiare». Salli Richardson-Whitfield, produttore esecutivo e regista della seconda stagione di «Winning Time – L
’ascesa della dinastia dei Lakers», dal 28 agosto su Sky e in streaming su Now, è soddisfatta: «Girare le scene di gioco è stato complicato ma abbiamo fatto un buon lavoro».
Ideata e prodotta fra gli altri dal creatore di «Don’t Look Up» e «Succession», Adam McKay, la serie è tratta dal libro di Jeff Pearlman «Showtime: Magic, Kareem, Riley. La dinastia dei Lakers» e racconta i fatti che hanno segnato la storia della famosa squadra di basket negli anni Ottanta, quando venne acquistata dall’imprenditore californiano Jerry Buss che ebbe un’intuizione: rendere le partite un evento spettacolare oltre che sportivo. Inaugurò così la cosiddetta epoca «Showtime» dei Lakers, che porterà alla fama internazionale personaggi come Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar. Se la prima stagione della serie si concentra su questa fase iniziale del regno di Jerry Buss, la seconda racconta l’era delle vittorie — in nove anni i Lakers vinsero cinque volte — e la saga della famiglia dietro la squadra. «È una “Succession” applicata allo sport», dice Richardson-Whitfield.
Secondo la regista, cosa rende così intrigante questa storia sportiva è che si addentra in territori ancora parzialmente inesplorati. «Allora non c’erano social media e nessuno sapeva cosa succedeva dietro le quinte di una squadra così leggendaria, quell’alone di mistero ha reso così affascinante quella squadra e la storia che raccontiamo». Prima di quei gloriosi anni Ottanta la pallacanestro non era né popolare né ricca. Furono proprio i Lakers a portare il basket ai livelli che conosciamo oggi.
«La differenza fra ora ed allora per le star del basket l’hanno fatta internet e i social — ribadisce Richardson-Whitfield —. Allora quei giovani conobbero all’improvviso fama e ricchezza, ma gli errori che questa combinazione di fattori può provocare rimasero nell’ombra. Quello fu il loro grande vantaggio. Magic Johnson, per esempio, oggi è un attivista e un imprenditore incredibile anche grazie al fatto che i suoi errori degli inizi non finirono sotto i riflettori. Al contrario, della vita privata delle generazioni successive — Shaquille O’Neal o Kobe Bryant, per esempio — sappiamo tutto. La serie racconta anche quello che non emerse ai tempi». E forse i protagonisti di allora avrebbero voluto mantenere questi aspetti nel cono d’ombra in cui erano rimasti sino a oggi.
Molti fra i giocatori e gli allenatori di allora hanno criticato la serie. Kareem Abdul-Jabbar ha descritto come «disoneste» le storie raccontate. Jerry West, coach e general manager della squadra ha dato mandato al suo avvocato per ottenere le scuse di Hbo, che dal canto suo ha fatto sapere che non si tratta di un documentario. «Quest’anno gli autori hanno creato una “guida di accompagnamento” che uscirà con gli episodi, così che il pubblico possa vedere cos’è successo veramente e quali licenze ci siamo presi — continua la regista —. È una serie drammatica, non una biografia né un documentario, quindi è normale che non tutto sia raccontato proprio come si è svolto. Sono passati tanti anni, i ricordi si sono affievoliti. Se qualcuno raccontasse la mia vita in una serie tv senza coinvolgermi, anch’io troverei argomenti per lamentarmi. Ma questo è un omaggio ai Lakers fatto da gente che ama i Lakers. Nessuno sta cercando di screditarli, quei ragazzi sono i nostri eroi».
27 agosto 2023 (modifica il 27 agosto 2023 | 20:46)
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