È nata una stella, dice Donald Trump durante il discorso della vittoria, parlando non di Lady Gaga ma di Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e figura chiave della ri-elezione del tycoon, con oltre 100 milioni di dollari donati alla causa repubblicana. Un endorsement sbandierato ai quattro venti attraverso X, comprata due anni fa quando si chiamata Twitter con l’obiettivo dichiarato di combattere quello che definisce il virus woke, riabilitare Trump e garantire la libertà di espressione.
Un sostegno elettorale, in Pennsylvania come negli altri stati in bilico, arrivato anche grazie a lotterie di dubbia natura, con ingenti somme di denaro promesse a chi si registrava e faceva registrare gli amici alla causa di The Donald. Ma quando parla di stelle, Trump non lo fa per caso: Musk punta proprio a quelle grazie alla sua Space X, leader nel settore delle operazioni spaziali private, che a metà ottobre è riuscita, per la prima volta nella storia, a recuperare indenne il primo stadio di un razzo spaziale, aprendo una nuova era di sostenibilità.
Un supporto che il nuovo presidente probabilmente ricompenserà con un ruolo governativo in materia di riduzione dei costi e della burocrazia, soprattutto nella pubblica amministrazione. Ponendo in essere un conflitto di interessi grande come la Casa Bianca: attraverso le sue aziende Musk è titolare di contratti con lo stato federale, Tesla è legata a doppio filo con la Cina mentre Starlink, la sua rete di satelliti per connessione a internet, è diventato uno strumento geopolitico fondamentale in conflitti come quello tra Russia e Ucraina, viste anche le sue simpatie per il Cremlino. Col rischio di diventare il controllore di se stesso e, di fatto, il vero vincitore di queste elezioni.