L’odissea nello spazio dei due astronauti americani Butch Wilmore e Sunita Williams, al rientro nella notte italiana sulla Terra dopo essere rimasti bloccati per più di nove mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale, potrebbe lasciare conseguenze sulla loro salute, anche a lungo termine.
Nel settembre 2023 Frank Rubio è tornato sulla Terra paracadutandosi in Kazakistan insieme al comandante Sergey Prokopyev e al collega Dmitri Petelin, dopo aver volato per ben 371 giorni, il tempo più lungo mai trascorso nello spazio. La missione è Expedition 68, la stessa alla quale ha partecipato come comandante Samantha Cristoforetti. Al rientro di Frank, subito sono stati effettuati controlli medici ed è partita la riabilitazione post-volo, così come succederà anche a Wilmore e Willams: il corpo umano nello spazio accusa infatti una serie di cambiamenti, alcuni rimangono in maniera permanente e altri rientrano nella norma già alcuni mesi dopo il ritorno sulla Terra.
L’impatto sulle ossa
In primo luogo, secondo la Nasa, lunghi periodi senza la gravità terrestre possono avere un impatto sulle ossa umane. La gravità zero significa che le ossa nella parte inferiore del corpo (gambe, fianchi, colonna vertebrale) svolgono un lavoro notevolmente inferiore. Durante i voli spaziali, le ossa portanti perdono in media dall’1 all’1,5 per cento della loro densità minerale (massa ossea) al mese. Una bassa densità minerale ossea porta a un rischio maggiore di fratture. Qualora se ne perde troppa, c’è il rischio di sviluppare osteoporosi.
Diminuzione della massa muscolare
Un’altra possibile conseguenza è la diminuzione della massa muscolare, perciò coloro che si trovano nello spazio eseguono esercizi di resistenza per imitare il sollevamento pesi e mantenere la forza nelle braccia e nelle gambe.
Il sistema cardiovascolare
Gli astronauti nello spazio devono far fronte, poi, a una diminuzione del volume sanguigno e possono sviluppare un aumento delle aritmie. Sebbene il sistema cardiovascolare funzioni bene nello spazio, il corpo non richiede molto lavoro dal cuore (dopotutto è pur sempre un muscolo) in microgravità. Nel tempo, ciò potrebbe portare a una perdita di ‘allenamento’ e a una diminuzione delle dimensioni del cuore.
L’impatto neurologico
Inoltre – sottolinea il Centre for Space Medicine del Baylor College of Medicine – lunghi periodi trascorsi nello spazio possono avere un impatto neurologico. Senza gravità, infatti, i messaggi che il cervello invia ai muscoli e agli organi interni possono cambiare. Un esempio di ciò è l’orecchio interno che riceve input “conflittuali” dal cervello rispetto a quanto normalmente previsto sulla Terra. Ciò può causare disorientamento, cinetosi spaziale e una perdita generale del senso dell’orientamento. Gli astronauti hanno riferito che ciò rende difficili anche le attività più basilari nello spazio. Per la loro sicurezza, chi rientra dallo Spazio viene solitamente fatto sedere, così da potersi riprendere quando si ritrova nuovamente immerso nella forza di gravità.
La vista
Ci sono anche effetti collaterali ottici che comporta una permanenza prolungata nello Spazio. Gli astronauti possono sperimentare alterazioni della vista, tra cui la sindrome neuro-oculare (Sans), che causa gonfiore dietro l’occhio.
Il sistema gastrointestinale
In assenza di gravità, anche il sistema gastrointestinale può soffrire. La gravità aiuta a spostare il cibo attraverso il tratto intestinale e senza di essa, il sistema può subire una diminuzione della motilità. Poichè, poi, anche i denti sono ossa, gli astronauti possono sperimentare una perdita di massa ossea anche nei loro denti.
Problemi legati alle radiazioni
Un altro serio problema sono le radiazioni. Gli esseri umani sono protetti dalle radiazioni spaziali nocive mentre sono sulla Terra. Gli astronauti, tuttavia, corrono il rischio di essere esposti a queste radiazioni oltre l’orbita terrestre bassa (Leo). L’esposizione prolungata alle radiazioni può provocare, mutazioni somatiche del Dna e malattie come patologie degenerative o cancro. “Attualmente – osserva la Nasa nel suo rapporto Space Faring: The Radiation Challenge – la principale contromisura operativa contro gli effetti negativi delle radiazioni è semplicemente limitare l’esposizione degli astronauti, il che significa limitare la quantità di tempo che possono trascorrere nello spazio”. Alcuni di questi strascichi del viaggio spaziale cominciano a invertirsi dopo il ritorno sulla Terra, come nel caso delle alterazioni della vista e dell’orientamento spaziale, ma altri effetti possono risultare permanenti.
Le prestazioni cognitive
Le prestazioni cognitive richiedono un po’ di tempo per riadattarsi quando ci si riabitua alla gravità terrestre. Uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports ha scoperto invece che la densità ossea può richiedere molto tempo per tornare alla normalità, ammesso che riesca a ristabilirsi. Il coautore, il dott. Steven Boyd, professore presso la Cumming School of Medicine presso l’Università di Calgary (UCalgary), Canada, ha dichiarato: “Abbiamo visto astronauti che avevano difficoltà a camminare a causa della debolezza e della mancanza di equilibrio dopo il ritorno da un volo spaziale, e altri che sono andati allegramente in bicicletta nel campus del Johnson Space Center per incontrarci per una visita di studio. Quando gli astronauti tornano sulla Terra, le reazioni sono molto diverse.” L’esplorazione spaziale e i lunghi periodi trascorsi nello Spazio possono infine avere effetti negativi sulla salute mentale degli astronauti. L’isolamento, l’interruzione del sonno e la disfunzione cognitiva possono rendere i viaggiatori spaziali irritabili ed emotivi durante la loro permanenza nello spazio e nel periodo immediatamente dopo il ritorno.