“C’era la musica, c’era il teatro, le manifestazioni… Sono del ’57, quindi coetaneo di Fausto e Iaio. Uccisi dai fascisti poco lontano da lì, il giorno dopo siamo scesi tutti in piazza. Ed è uno scandalo che non ci siano ancora i nomi dei responsabili, dopo tanti anni”. Così il comico e conduttore televisivo, Claudio Bisio, in un’intervista a la Repubblica, sullo sfratto del Leoncavallo, che giudica “una prova di forza, con tutti quei poliziotti, e nessuno dentro. Fa ridere e fa piangere”.
“Io spero molto che il Comune di Milano si stia attivando per non far morire il Leoncavallo. Magari altrove, ma non deve finire – ha aggiunto – questa esperienza lunga 50 anni, e lo dico io che ci sono nato dentro. La cultura è un investimento, ci sono altre esperienze in Italia che dimostrano l’impegno delle amministrazioni in questo senso. Poi, tutto va fatto nella legalità, con concessioni regolari (non come le spiagge, però)”.
A parte il mestiere, cos’altro ha imparato al Leoncavallo? “Che la creatività e l’arte non vengono sempre dall’alto, e che le opere non nascono solo nei palazzi dei re. Perché le vie dell’arte sono infinite, e se c’è gente civile che fa cose belle, spontaneamente, perché tarpargli le ali? Il Leoncavallo è sempre stato una factory, ha ospitato artisti, organizzato eventi, prodotto cose belle. Abbiamo fatto cultura, e se ci sono stati accenni di violenza, è sempre successo per gli sgomberi. Il ministro Giuli dovrebbe andare a vedere cos’è quel posto. Se sono solo muri sporchi o se c’è arte, e sto solo parlando dei murales dei sotterranei”, ha sottolineato Bisio.