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Home » “Distinguere, capire, dialogare: così si combatte l’antisemitismo”. Intervista a Ferruccio Pinotti
Cronaca

“Distinguere, capire, dialogare: così si combatte l’antisemitismo”. Intervista a Ferruccio Pinotti

Di Sala Notizie24 Novembre 20256 min di lettura
“Distinguere, capire, dialogare: così si combatte l’antisemitismo”. Intervista a Ferruccio Pinotti
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“Distinguere, capire, dialogare: così si combatte l’antisemitismo”. Intervista a Ferruccio Pinotti

In un momento in cui l’antisemitismo torna a crescere in Italia e in Europa, Ferruccio Pinotti — autore del libro La lobby ebraica (Ponte alle Grazie) — invita a distinguere con precisione identità, politica e storia per evitare semplificazioni pericolose. Partendo dalla sua inchiesta, riflette sulle radici dei pregiudizi antiebraici e sulla necessità di un dialogo informato. Un confronto che punta a disinnescare stereotipi e a promuovere conoscenza, memoria e responsabilità. 

 

Parto dal libro: secondo lei perché temi come influenza, potere e identità ebraica suscitano ancora così tante discussioni e sensibilità? 

Temi come influenza, potere e identità ebraica suscitano ancora discussioni accese e urtano sensibilità individuali e collettive per molte ragioni. Anzitutto, sul piano storico, la ferita delle leggi razziali e della Shoah – su cui l’Italia non ha ancora fatto pienamente i conti, come dimostra anche la vicenda dell’“armadio della vergogna” – non è affatto rimarginata. Molte famiglie italiane hanno avuto un congiunto coinvolto nella tragedia dell’Olocausto, che non può e non deve essere dimenticata. 

In secondo luogo, il 7 ottobre 2023 e la successiva reazione israeliana a Gaza e in Cisgiordania hanno innescato un gioco di reciproca attribuzione di responsabilità che allontana dalla necessaria pacificazione e dal riconoscimento delle sofferenze di tutti. 

 

Quando si parla di antisemitismo oggi, cosa intendiamo davvero? È cambiato rispetto alle forme “classiche” del Novecento? 

L’antisemitismo oggi assume forme nuove. In Germania, formazioni ambigue come AfD presentano sezioni filo-ebraiche pur promuovendo una retorica xenofoba e segregazionista. In molti Paesi europei l’avanzata delle destre estremiste ha sdoganato atteggiamenti problematici su temi delicatissimi. 

Anche una certa sinistra radicale, “antifa” e “propal”, ha trasformato la solidarietà al popolo palestinese – vittima sia di Hamas ed Hezbollah sia delle ritorsioni israeliane – in una “causa” che talvolta sconfina in pregiudizi antiebraici. Le distinzioni, oggi più che mai, non sono mai abbastanza. 

Mi spiace se il titolo del mio libro è stato letto in modo equivoco: è provocatorio, sì, ma accompagnato dal sottotitolo “Mito o realtà?” e dalla frase sul retro “contro ogni visione antisemita e complottista”. Se non è stato compreso, me ne scuso. 

Forma 

Il libro ricorda come spesso si confondano ebrei, Israele e sionismo. Perché questa sovrapposizione può generare incomprensioni e pregiudizi? 

È proprio così. Dopo un’ampia “relazione al valore”, in cui il libro si schiera senza ambiguità contro l’antisemitismo, analizziamo le cause storiche della nascita del sionismo, giustificato dai pogrom, dall’Affare Dreyfus e da secoli di persecuzioni, anche cristiane. Ricostruiamo anche il complesso rapporto tra Israele e Stati Uniti, dove lobby del tutto legali – come AIPAC, American Jewish Congress, B’nai B’rith – contano milioni di sostenitori e hanno un peso politico significativo. 

Ma questo non significa certo che ogni persona di origine ebraica faccia parte di una “lobby”. Confondere identità ebraica, Israele e sionismo genera pericolosi fraintendimenti. 

Forma 

L’Osservatorio antisemitismo mostra un aumento degli episodi ostili. Da dove nasce questa crescita? 

L’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC documenta un forte aumento degli episodi ostili. Nel 2024, a fronte di 1.384 segnalazioni, 877 casi sono stati classificati come antisemitismo: 600 riguardano l’online, 277 episodi offline. Nei primi nove mesi del 2025 si contano già circa 500 episodi. 

La guerra ha avuto un impatto immediato sulla radicalizzazione. I social network hanno amplificato toni, ostilità e retoriche violente, contribuendo in modo decisivo all’escalation. 

Forma 

La comunità ebraica italiana è piccola ma culturalmente presente. Questo contrasto può alimentare stereotipi? 

In Italia vivono circa 30.000 ebrei, di cui 25.000 iscritti alle 21 comunità. In passato erano molti di più: nel XV secolo si stimavano circa 70.000 individui. 

Si tratta di una presenza storicamente qualificata, composta da professionisti e famiglie che hanno contribuito in modo decisivo alla cultura, all’economia e alla vita civile del Paese. 

Il contrasto numerico–visibilità può essere talvolta distorto da chi cerca narrazioni semplificatorie, ma la realtà è ben più ricca e complessa. 

Forma 

È possibile criticare legittimamente le scelte del governo israeliano senza scivolare nell’antisemitismo? 

Assolutamente sì. Molti ebrei della diaspora e molti israeliani criticano apertamente il governo Netanyahu, che pure gode di consenso interno. È legittimo criticare scelte politiche che possono generare tensioni pericolose o avere un forte impatto umanitario sulla popolazione palestinese. 

La critica politica è legittima; l’antisemitismo, che colpisce persone e identità, è un’altra cosa. 

Forma 

Quali sono oggi, secondo lei, i modi più efficaci per contrastare i pregiudizi antiebraici, soprattutto tra i giovani? 

Il modo più efficace resta il confronto aperto e l’informazione approfondita. CDEC, UCEI e l’Osservatorio Antisemitismo dovrebbero promuovere sempre di più occasioni di dialogo pubblico. 

Un modello utile è quello della Truth and Reconciliation Commission sudafricana: ammettere errori, riconoscere le sofferenze, costruire una memoria condivisa. 

Rispetto al Novecento, non è cambiato molto: diffidenza e pregiudizio sopravvivono. Per superare tutto questo servono conoscenza, studio e un impegno culturale sistematico. 

Forma 

Perché quando si parla di ebraismo è così difficile orientarsi? 

L’incomprensione nasce spesso dalla mancanza di conoscenza della storia del popolo ebraico, lunga 5.786 anni e caratterizzata da una complessità religiosa e culturale straordinaria. Il Vecchio Testamento, la struttura tribale originaria, i diversi gruppi religiosi, la distinzione tra farisei, ebrei e filistei: sono temi che richiedono studio. 

Il sionismo è una risposta politica alla persecuzione, radicata nelle intuizioni di Judah Alkalai e poi sistematizzata da Theodor Herzl. 

La storia dell’ebraismo europeo, i pogrom russi, i Protocolli dei Savi di Sion – un falso storico criminale – e l’antisemitismo nazionalista arabo hanno alimentato narrazioni distorte che ancora oggi influenzano la percezione pubblica. 

Ebraismo, Israele e sionismo sono realtà connesse ma diverse: senza questa distinzione, si genera confusione e, talvolta, ostilità. 

Forma 

Il mondo politico israeliano con quali gruppi religiosi interni si confronta? 

Il governo israeliano deve mediare con una realtà estremamente variegata: 

Haredim, ultraortodossi che vivono in comunità separate; 

Chassidim, che seguono un proprio leader spirituale; 

Neturei Karta, che rifiutano il riconoscimento dello Stato di Israele; 

Dati Leumi, osservanti e allo stesso tempo profondamente sionisti, arruolati nelle IDF; 

Masortim, tradizionalisti non rigidissimi; 

Chilonim, laici e maggioritari. 

 

Si tratta di un vero “iceberg identitario” con cui ogni governo deve fare i conti. 

Forma 

Il libro delinea anche il potere assunto dal mondo ebraico nella diaspora. Come interpreta questa dinamica? 

Il potere produce sempre dinamiche tensionali: chi lo esercita porta responsabilità e ricadute; chi ne resta escluso può sentirsi marginalizzato. Accade in ogni gruppo umano. 

Nella diaspora ebraica, come altrove, identità e ruolo sociale si formano attraverso fattori storici, economici, geopolitici e culturali. 

I pregiudizi sono muri costruiti dall’ignoranza: generano astio, poi odio, e infine rifiuto dell’altro. Studiare la storia ebraica serve proprio a smontare questi muri. 

 

 

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