E’ così che Muhammad Al-Ham arriva al cielo sopra il campo profughi di Deir el-Sheikh a Bezir. Ci mostra le colonie, illegali a soffocarla. Da qui, le parole di Papa Francesco, poi rinnovate dal Cardinale Re durante l’omelia dell’addio, costruite ponti, non muri, sono la storia che aspettano di scrivere.
Da palestinese, musulmano e rappresentante della comunità, lo vuole ricordare nel punto esatto di Jidar el-Hamsouri, il muro di separazione, dove il Papa, nel 2014, ha consegnato al silenzio le sue preghiere. Ali vorrebbe dedicargli un’icona, ma non riesce. E allora ne accenna il profilo e scrive il suo ricordo.
A Papa Francesco, che non ha mai dimenticato i palestinesi, i massacri e la fame di Gaza, la vita sempre più cieca della Cisgiordania.
Mohammed Walid si è visto costruire il muro intorno quando aveva 14 anni. Oggi, ci dice da attivista, l’esercito israeliano usa Haida, il nostro campo profughi, per le esercitazioni dei soldati più giovani.
Fanno irruzione, distruggono le case. Imparano qui quello che faranno poi a Gaza o nel nord della West Bank. Le sue speranze sono tutte nel testimone della memoria, che cresca nelle generazioni future.
Perché non si abituino mai al muro, perché non smettano mai di volerlo distruggere.