C’è il “concreto pericolo” che Enrico Pazzali, presidente auto-sospesosi di Fondazione Fiera Milano e titolare di Equalize, agenzia investigativa al centro dell’inchiesta sulle cyber-spie, indagato e “a piede libero”possa “acquisire informazioni segrete relative alle indagini a proprio carico”, entrando in chat e mail degli investigatori “sulle quali scorrono” dati ed elementi dell’inchiesta. E ciò grazie ai “servizi illeciti offerti” da Gabriele Pegoraro, anche lui indagato e “a piede libero”, o da altri hacker. Lo scrivono i pm di Milano che per Pazzali insistono al Riesame per i domiciliari, dopo il no del gip alla misura.
Il pm della Dda Francesco De Tommasi e il collega della Dna Antonello Ardituro hanno chiesto al Riesame dodici custodie cautelari in carcere per altrettanti indagati, tra cui l’hacker Nunzio Samuele Calamucci, finito ai domiciliari su decisione del gip, e i domiciliari per altri tre indagati, tra cui Pazzali e Gabriele Pegoraro, hacker esperto e “collaboratore esterno” del gruppo. La posizione di Carmine Gallo dopo la morte è stata stralciata e archiviata.
Per gli inquirenti, Pazzali può godere ancora di una “fortissima rete di relazioni” e della “forza del ricatto”, datala presunta fabbrica di dossieraggi che ha costruito, ma soprattutto potrebbe avvalersi ancora di hacker “a disposizione dell’organizzazione”, come Abbadessa, Rovini, Di Iulio, Coffetti, tutti indagati ma senza misura cautelare ordinata dal gip. L’ultimo, scrivono i pm, è “capace di inoculare captatori informatici nei dispositivi”.
Oltre ad aver saputo, prima che scoppiasse lo scandalo, dell’esistenza dell’indagine nei suoi confronti grazie, secondo i pm, alla sue rete di rapporti adalti livelli istituzionali, Pazzali sarebbe stato anche “a conoscenza delle sommarie informazioni” sull’inchiesta. L’elemento emerge da uno dei verbali di interrogatorio dell’ex superpoliziotto Carmine Gallo, morto il 9 marzo mentre era ai domiciliari dal 25 ottobre. Secondo Gallo, Pazzali “mi diceva ‘guarda che ho saputo’, sempre da questo della – omissis- o credo dal diretto interessato, che avevano interrogato questo – omissis”.
I verbali contengono tantissimi nomi ancoraoscurati. Pazzali, come ricostruito dai pm sulla base delledichiarazioni di Gallo, andò a Roma “per acquisire informazioni” sull’indagine, dato che, come ha messo a verbale l’ex ispettore, “era impazzito con questa fuga di notizie”, quando aveva saputo che poteva essere sotto inchiesta. E quando tornò a Milano disse a Gallo, si legge ancora negli atti depositati in vista del Riesame del 19 marzo, che “effettivamente, esiste un’indagine di criminalità organizzata in materia di rifiuti (il pm titolare si è occupato di molte indagini di questo genere, ndr)” e che “è coinvolto anche Gallo”. Avrebbe saputo pure che il tema di indagine era la raccolta illecita “degli Sdi”, ossia quegli accessi abusivi alla banca dati delle forze dell’ordine, attraverso Gallo e funzionari infedeli delle forze dell’ordine.
È emersa una valanga di altri dettagli dai verbali di Gallo: Pazzali gli avrebbe ordinato almeno “una ventina” di accessi abusivi alle banche dati Sdi delle forze dell’ordine per suoi interessi. Fu sempre il numero uno della società di via Pattari a chiedergli di ottenere “informazioni” riservate, tramite accessi allo Sdi, su “La Russa” e il “figlio”. Gli disse “che gliele aveva chieste (…) ‘una persona a cui non posso dire di no'”. Ma l’ex ispettore di polizia, che risolse sequestri e prese parte alle più importanti indagini su omicidi e criminalità organizzata, si rifiutò. E, riassumono i pm, si chiese se la “richiesta di Pazzali” fosse “correlata” alla “nota vicenda” di Leonardo Apache, accusato di una presunta violenza sessuale.
Gallo negli interrogatori, dando spesso riscontro alle parole di Nunzio Samuele Calamucci, uno degli hacker arrestati, descrive il “sistema” degli accessi illeciti alle banche dati strategiche, di cui, ha ammesso, “me ne vergogno”. Pazzali, che lui teneva “aggiornato su tutto”, stando ad uno dei verbali, diceva che il suo “socio occulto era lo Stato”. Aveva “contatti con i Servizi”, ma alcuni nomi sono ancora oscurati nelle centinaia di pagine di atti.
In un’informativa dei carabinieri del Nucleo investigativo di Varese, che hanno condotte le indagini, si parla pure di “acclarati e accertati contatti ricorrenti” tra Pazzali “ed il Generale De Donno”, vicedirettore Aisi. Gli investigatori scrivono che il primo avrebbe “ottenuto” informazioni, prima che deflagrasse il caso, su un suo “possibile coinvolgimento” in indagini, “solo dopo aver incontrato a Roma, secondo Gallo, Carlo De Donno”.
E mentre sulla morte di Gallo i primi esiti autoptici hanno confermato l’infarto come causa naturale e si è in attesa delle risultati tossicologici anche su eventuali particolari sostanze, spuntano dalle carte due inquietanti episodi. L’avvocata di Gallo, Antonella Augimeri venne minacciata in strada a Milano il 20 febbraio da una persona che le intimò di “dire al suo cliente Calamucci che deve cambiare le sue dichiarazioni su De Marzio”, ex carabiniere indagato e negli atti ribattezzato “agente Tela”. Lo stesso Gallo, il 21 gennaio, si sarebbe visto sbucare alle spalle Vincenzo De Marzio, mentre entrava nello studio della legale.
E ancora tra le “oltre 6mila chat e più di 30mila email” trovate nei dispositivi di Pazzali, che aveva un “progetto di espansione” verso Londra, vengono fuori file e report su “Attilio Fontana” e altri “target che erano stati coinvolti nell’inchiesta della Procura di Milano” sullo “scandalo dei camici”, fino ad un “report Eni”. Poi, ancora su “Letizia Moratti” e i suoi figli e un file su Negma, fondo venuto a galla in uno dei filoni delle indagini collegate alle ex società di Daniela Santanchè.
Nel giugno 2023, si legge, Pazzali avrebbe organizzato negli uffici della Fondazione Fiera Milano “un incontro” tra un generale della Gdf “e Daniela Santanchè, di cui vi è riscontro nelle chat whatsapp con entrambi”.