I brigatisti hanno lasciato molti testi scritti nei covi che sono stati scoperti, da via Gradoli a via Monte Nevoso: volantini, comunicati, appunti, numeri di telefono o conti fatti a mano per gestire le spese della lotta armata. Ma disegni mai.
Tranne i due fogli che hanno colpito fin dal primo momento la mia attenzione. Sono realizzati a mano libera e riportano scrupolosamente gli elementi portanti di alcuni ambienti di cui non si conosce il nome. Sono presenti alcuni elementi distintivi che li rendono riconoscibili: un ascensore, le trombe delle scale, lo spessore delle colonne in cemento. Non c’è però alcun riferimento su dove si trovino questi luoghi.
La perizia calligrafica
Conosciamo invece di chi è la mano che li ha disegnati. Una perizia calligrafica li ha attribuiti senza ombra di dubbio a Valerio Morucci, il brigatista della colonna romana che era incaricato di gestire la logistica del rapimento Moro. Se davvero questa è la mappa della prima prigione del presidente della DC chi se non lui poteva esserne l’autore?
disegni brigatisti (rainews)
08/05/2025
I reperti di via Gradoli
I disegni fanno parte dei reperti trovati a via Gradoli, la centrale operativa del sequestro, e solo per questo motivo avrebbero dovuto godere di una maggiore attenzione. Ma un dettaglio, all’epoca, ha fuorviato gli inquirenti e i giornalisti. In uno di questi disegni c’è la parola “carceri”, messa tra due virgolette.

documento (rainews)
Peccato che il vocabolo “carceri” sia stato preso alla lettera e tutti si siano buttati a capofitto a cercare degli istituti penitenziari, esistenti o ancora in costruzione. La lista degli oggetti trovati a via Gradoli riporta già questa primissima interpretazione. Al reperto numero 777 si legge: «Schizzo planimetrico di un probabile istituto carcerario in costruzione, con allegati tre foglietti manoscritti su carta quadrettata». Per una settimana i giornalisti seguono questa pista.

documento (rainews)
Alla ricerca di un istituto penitenziario
I due cronisti di punta del Corriere della Sera, Sandro Acciari e Andrea Purgatori, il 24 aprile del 1978 titolano: “Nei piani dei brigatisti c’era il progetto di far saltare un carcere”. Ma pur cercando negli archivi del ministero della Giustizia le piantine dei carceri esistenti e di quelli eventualmente in costruzione non fu trovato nulla. E l’attenzione si spense. Del resto non c’era tempo da perdere, bisognava concentrare tutte le energie per trovare dove fosse ancora tenuto prigioniero Moro.

documento (rainews)
Un ago nel pagliaio
Ho cominciato a chiedermi se quel disegno potesse essere la mappa del carcere in cui fu portato Moro e dove potesse trovarsi. Di fatto, come cercare un ago nel pagliaio. Ma quella piantina era entrata nella mia testa e, grazie ad alcune proficue chiacchierate, avevo cominciato a pensarla non più soltanto come una rappresentazione fotografica del reale, ma come un insieme di luoghi reali messi insieme in una composizione immaginaria. Forse era questo il motivo per cui accanto a ogni edificio c’è un numero (da 1 a 4): per riconoscere la singola struttura anche se è in una posizione diversa da quella abituale.
Il luogo a 5 minuti da via Fani
Dopo aver seguito diverse piste fallimentari ho ripreso in mano il percorso di fuga dei brigatisti. Ho cambiato il punto di vista e osservato il percorso dall’alto, con Google Earth. È allora che ho riconosciuto le forme che avevo cercato. Il luogo è a 5 minuti di macchina da via Fani, in un luogo appartato e isolato. Dagli accertamenti che ho fatto all’epoca era ancora un cantiere, anche se quasi del tutto terminato. Sarebbe stato vissuto a partire dall’estate successiva. E soprattutto era una proprietà riconducibile al Vaticano.
Il rapimento di Aldo Moro (Rainews.it)
Bisogna indagare
È presto per capire se una parte della Chiesa potesse sapere o fosse del tutto all’oscuro: bisogna indagare su chi allora gestiva il cantiere.
Ma sono diversi gli elementi che convergono su quest’inedita ipotesi giornalistica. Ci sono ad esempio le testimonianze oculari di chi quella mattina del 16 febbraio 1978 vede alcuni passaggi della fuga delle macchine da via Fani fino a alla zona in questione. Si tratta di persone comuni, dei passanti che notano le tre macchine dei brigatisti sfrecciare. Oltre la proprietà del Vaticano scompare la coralità dei testimoni e rimane unicamente il racconto in prima persona dei brigatisti che fa terminare la fuga in quello che ad oggi è considerato l’unica “prigione del popolo” di Aldo Moro: il covo di via Montalcini.
Il rapimento di Aldo Moro (Rainews.it)
Questa è un’ipotesi alternativa. Stasera a Porta a Porta e su Rainews24 il racconto dell’inchiesta.