La Loyola University di Roma
I due disegni trovati a via Gradoli, la base operativa del sequestro di Aldo Moro, descrivono una mappa che corrisponde a un luogo reale del quartiere Trionfale di Roma. Si trova a 1,5 chilometri da via Fani, dove è avvenuta la strage della scorta di Moro e il suo sequestro la mattina del 16 marzo 1978. Quel luogo, mai preso in considerazione prima d’ora, è la sede della Loyola University di Roma, una succursale italiana della prestigiosa università dei gesuiti americani di Chicago. Ma allora era ancora un cantiere. L’università esisteva già dal 1962 e aveva cambiato diverse sedi, prima al Villaggio Olimpico, poi a Villa Tre Colli alla Camilluccia e ancora in via Trionfale. Durante l’estate, come da me riscontrato attraverso una rivista di quartiere dell’epoca che ne riportava la notizia, si sarebbe trasferita definitivamente nella struttura di via Massimi 114, dove si trova ancora oggi. Tutto era pronto ma, durante i 55 giorni del sequestro del presidente della DC, non era ancora frequentata da studenti, professori e personale amministrativo. Doveva presentarsi come una struttura quasi del tutto ultimata ma ancora vuota. Il fatto che si trattasse di un cantiere offriva diversi vantaggi: un luogo protetto da curiosi e allo stesso tempo separato dal resto del contesto urbano circostante, con la possibilità di ingresso di mezzi e persone senza dare nell’occhio.
Son Zatti Covo Moro (Rainews24)
I disegni di via Gradoli
Torniamo allora ai disegni trovati a via Gradoli e attribuiti da una perizia che non ha lasciato dubbi a Valerio Morucci, il brigatista incaricato della logistica del sequestro. Il primo è una sorta di mappa, tiene insieme diverse costruzioni che nella realtà hanno posizioni e distanze diverse da quelle rappresentate su carta. Un lavoro di collage per orientare i brigatisti e disorientare gli inquirenti nel caso in cui il disegno fosse caduto nelle loro mani. Dopo aver memorizzato le diverse strutture, che non a caso sono contrassegnate da dei numeri per poterle identificare senza ambiguità anche se in posizioni diverse, le ho riconosciute nei locali dell’università americana. Un riscontro punto per punto. L’edificio con il patio e le colonne è il convento poco distante, la struttura circolare è oggi la biblioteca dell’università, il lungo edificio a parallelepipedo è il dormitorio dove risiedono gli studenti e infine il corpo centrale, a forma di punta di freccia, oggi la sede delle aule, dei laboratori, del bar del campus. Io sono entrato dentro queste strutture e ho potuto verificare con i miei occhi la corrispondenza di alcuni elementi strutturali riportati anche nei disegni: le scale che al primo piano congiungono il corpo centrale con il dormitorio, l’ascensore prima della seconda tromba delle scale e del corridoio che porta alla biblioteca, le scale che portano ai locali tecnici nei sotterranei. Ma è osservando il disegno che salta agli occhi un altro elemento che caratterizza abitualmente un luogo utilizzato come carcere: la stanza con la scritta “isolamento”. Un locale senza finestre, sul cui muro esterno che affaccia sul bar oggi sono collocate le targhe dei tanti donatori e benefattori dell’Università.

documento (rainews)
I testimoni
Tutto sembra convergere verso l’ipotesi che questo sia stato il luogo della prima prigione di Aldo Moro. Anche la ricostruzione delle testimonianze agli atti del processo Moro. I testimoni oculari raccontano quella mattina del 16 marzo 1978 la fuga delle tre auto dei brigatisti come in un film che non sembra avere soluzione di continuità. Il primo è Antonio Buttazzo, una guardia giurata che aspettava il proprio principale da accompagnare con l’auto privata in azienda. Sente gli spari, salta sulla sua Alfetta 1800 e si getta all’inseguimento delle auto dei brigatisti in partenza da via Fani. Li segue lungo via Stresa e poi fino a via Trionfale, dove si ferma per telefonare da una cabina pubblica della Sip alla polizia, dando l’allarme e le targhe delle auto dei brigatisti. Poi vede sfrecciare le auto una signora settantenne che passeggiava per via Carlo Belli col proprio cane. Infine la signora Anna De Luca, che abitava al primo piano di un condominio che affaccia su via Casale De Bustis. Le due signore vedono le macchine allontanarsi per via Massimi. In quel tratto la strada sale fino al culmine di un dosso sul quale c’era una quercia secolare. Anna De Luca vede che le macchine superano l’albero e poi spariscono. Quell’albero si trova in corrispondenza della svolta a destra per la Loyola University, a 200 metri da quello slargo. Anche la seconda Commissione d’inchiesta sul caso Moro si era concentrata su quelle zone, mettendo in discussione molte delle verità consolidate dalle memorie dei brigatisti e dalle sentenze dei processi. Ma aveva in mente un altro civico di quella stessa strada. Cercava il carcere di Moro in una palazzina signorile al numero 91 di via Massimi, la Loyola University si trova invece al 114.
disegni brigatisti (rainews)
La domanda adesso è: i gesuiti americani sapevano del sequestro o erano all’oscuro di tutto, inconsapevoli di come venne gestito il cantiere di quella che sarebbe diventata di lì a qualche mese la nuova sede dell’Università?