È un’infezione acuta dell’intestino, che si manifesta improvvisamente con disturbi come diarrea, vomito e rapida disidratazione. Il colera rievoca paure antiche nelle aree più avanzate del pianeta, ma è una minaccia attuale e reale in diversi Paesi del mondo, alcuni dei quali più disagiati, altri alle prese con guerre e conflitti o disastri naturali. Ecco perché resta sotto i fari delle autorità sanitarie e delle organizzazioni internazionali.
In Italia si torna a parlare di questa infezione batterica per via della segnalazione di un caso sospetto a Brescia in un paziente rientrato dalla Nigeria, ora ricoverato in terapia intensiva, risultato positivo a Vibrio cholerae.
Gli approfondimenti già scattati dovranno però chiarire se il ceppo isolato è quello “pericoloso” da un punto di vista epidemico.
La trasmissione
La trasmissione del patogeno avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione.
Nel diciannovesimo secolo il colera si è diffuso più volte dalla sua area originaria attorno al delta del Gange verso il resto del mondo, dando origine a diverse ‘pandemie’ che hanno ucciso milioni di persone in tutto il mondo.
Oggi la malattia è considerata endemica in molti Paesi e il batterio che la provoca non è ancora stato eliminato dall’ambiente.
I sierogruppi che sono responsabili di casi confermati di colera sono due: il Vibrio cholerae 01 e il Vibrio cholerae 0139, produttori di enterotossina colerica, si spiega in un focus pubblicato su ‘Epicentro’, il portale dell’Istituto superiore di sanità dedicato alle malattie infettive.
Nel 2024, dopo un aumento registrato l’anno precedente, il numero di casi di colera nel mondo – secondo un bilancio parziale da gennaio a settembre – si è ridotto del 16% (per un totale parziale di oltre 439mila) ma è stato registrato un aumento dei decessi (3.432), che ha segnato un picco del 126%, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità. Trenta i Paesi colpiti l’anno scorso. Per spiegare la crescita della mortalità per colera, l’agenzia ginevrina chiama in causa fattori come le guerre e l’emergenza climatica.
Le epidemie, osserva l’Oms, si registrano in zone che includono “aree colpite da conflitti, in cui l’accesso all’assistenza sanitaria è gravemente compromesso; regioni che hanno subito inondazioni massicce che hanno danneggiato infrastrutture critiche, e aree con strutture mediche inadeguate. Queste sfide sono particolarmente evidenti nelle regioni rurali e remote, dove i ritardi nell’accesso alle cure sono comuni a causa di infrastrutture scadenti e risorse sanitarie limitate”.
In generale, “le dinamiche delle epidemie di colera stanno diventando sempre più complesse – analizza l’organizzazione internazionale – guidate da fattori che trascendono i confini” dei singoli stati “come sfollamenti di massa, calamità naturali, disordini civili, conflitti militari e cambiamenti climatici. Gravi inondazioni in Africa centrale e occidentale, così come nel Sudest asiatico”, per esempio, “hanno intensificato la trasmissione del colora, con diversi Paesi che continuano a segnalare picchi di casi”. Nel report di ottobre si lanciava anche un Sos vaccini, rilevando che la scorta globale di vaccino orale contro il colera era praticamente esaurita, e la carenza in generare stava ponendo sfide significative nella risposta all’epidemia”.
I cibi più a rischio per la trasmissione della malattia
I cibi più a rischio per la trasmissione della malattia sono quelli crudi o poco cotti, si legge su Epicentro, il portale dell’Istituto Superiore di Sanità, e in particolare i frutti di mare (come si rilevò per esempio a Napoli negli anni ’70 ai tempi dell’epidemia). Anche altri alimenti possono comunque fungere da veicolo. Le scarse condizioni igienico-sanitarie di alcuni Paesi e la cattiva gestione degli impianti fognari e dell’acqua potabile restano comunque le principali cause di epidemie di colera. Il batterio può vivere anche in ambienti naturali, come i fiumi salmastri e le zone costiere: per questo il rischio di contrarre l’infezione per l’ingestione di molluschi è elevato. Senza la contaminazione di cibo o acqua, il contagio diretto da persona a persona è molto raro in condizioni igienico-sanitarie normali. La carica batterica necessaria per la trasmissione dell’infezione è, infatti, superiore al milione: pertanto risulta molto difficile contagiare altri attraverso il semplice contatto.
I sintomi
Quanto ai sintomi, dopo un periodo di incubazione che varia solitamente tra le 24 e le 72 ore (2-3 giorni), nel 75% dei casi le persone infettate non manifestano alcun segno dell’infezione. Tra chi manifesta i sintomi, invece, una piccola parte sviluppa una forma grave della malattia. L’aspetto più importante nel trattamento del colera è la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi. La reidratazione orale ha successo nel 90% dei casi, può avvenire tramite assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua, e deve essere intrapresa immediatamente. Gli antibiotici sono utilizzati soprattutto per le forme più gravi o nei pazienti più a rischio, come gli anziani.