Trasformare i due centri albanesi in Cpr, cioè centri per i rimpatri. Sarebbe questa l’ipotesi allo studio del governo per tornare a rendere operative Shengjin e Gjader, le due strutture oltre Adriatico, rimaste vuote dopo le ripetute bocciature da parte dei giudici di primo grado e delle Corti d’appello dei trattenimenti dei migranti. Un’ipotesi di cui si sarebbe discusso in una riunione venerdì scorso tra la premier Giorgia Meloni il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e il sottosegretario di Palazzo Chigi, Alfredo Mantovano e che potrebbe prendere corpo in un nuovo decreto. Da strutture per ospitare i migranti caricati dai pattugliatori della Marina nelle acque internazionali del Mediterraneo, in attesa delle procedure di frontiera accelerate, Shengjin e Gjader diventerebbero così centri per irregolari già presenti in Italia e su cui pende un decreto di espulsione.
Che questo progetto esiste lo aveva già confermato ieri il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, (FdI) che nel corso di una intervista aveva ammesso che il governo sta valutando “se intervenire con un nuovo provvedimento prima della sentenza” della Corte di giustizia europea. Proprio la volontà di anticipare ed eventualmente ignorare la prossima sentenza della Corte europea trova freddezza da parte di Forza Italia: “Bisogna aspettare, secondo me, la sentenza della Corte di giustizia della Ue del 25 febbraio e le pronunce della Cassazione rispetto alle impugnative dei provvedimenti dei giudici di merito” ha affermato oggi il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto che invita anche a “far stabilizzare l’intervento della giurisprudenza europea e nazionale e poi assumere le conseguenti decisioni”. Ad una domanda diretta su cose pensasse di questa possibilità Matteo Salvini non ha risposto ed ha rinviato all’attuale ministro dell’interno Matteo Piantedosi.
Centri migranti in Albania (Ansa)
I partiti di opposizione non si sono fatti pregare. Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva alla Camera pone l’accento sul fatto che i Cpr sul suolo italiano ci sono già e le ragioni per costruire due costosissime strutture in Albania erano di tutt’altra natura: “Ma questi centri non dovevano essere una deterrenza alle partenze? – ha commentato Faraone – Ormai quei centri in Albania vanno riempiti a tutti i costi e fare finta che funzionino. Il metodo Meloni per l’appunto” conclude Faraone. “È evidente il fallimento modello Albania che non esiste, e il fatto che si preveda un ulteriore decreto significa che questo modello non funziona, non può funzionare, a prescindere da quello che decideranno i giudici”. Così Simona Bonafè, deputata del Pd, in un’intervista a Rainews 24.
Trasformare un luogo di detenzione all’estero in un centro per l’espulsione, anziché per l’accertamento dei requisiti per la protezione internazionale, desta molte perplessità giuridiche, non ultima la sottrazione al giudice naturale del migrante che sarebbe di fatto impossibilitato a chiedere la revisione del suo stato. Dando per scontati i ricorsi, si starebbe anche valutando anche la possibilità di togliere la giurisdizione italiana sulle strutture la cui gestione passerebbe da Tirana e non più da Roma, ammesso che sia possibile nei termini del trattato con l’Albania.