Anche Confcommercio taglia le stime della crescita del Pil in Italia: +0,8% per il 2025 e +0,9% per il 2026, una revisione rispettivamente da +0,9% e +1% della precedente valutazione. Nelle scorse settimane Bankitalia e Confindustria avevano già ritoccato i loro calcoli al ribasso. La scorsa settimana, nel Def, il governo ha dimezzato le sue proiezioni, attestandosi a +0,6% per quest’anno e +0,8% per il prossimo. Le cause del rallentamento globale sono quelle che monopolizzano il mercato da mesi: la prospettiva dei dazi Usa, i conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente.
Il potere d’acquisto in Italia è del 26,5% sotto quello della Germania
Per Confcommercio, che ha elaborato le sue stime in collaborazione con Thea in vista del Forum annuale che si tiene oggi e domani a Villa Miani a Roma, sulle prospettive di crescita pesano “l’incertezza legata ai dazi, l’instabilità dei mercati finanziari e il timore di una perdita di ricchezza”. La ricerca aggiunge che “sulla debolezza dei consumi incidono anche le basse dinamiche di redditi e salari”. Il divario tra l’Italia e gli altri Paesi europei, soprattutto la Germania, “si spiega in larga parte con le differenze nella produttività del lavoro”. Il prodotto per occupato in Italia “è fermo da trent’anni”. Tenendo conto del costo della vita, si legge ancora nel testo, “il potere d’acquisto degli stipendi italiani resta del 26,5% inferiore rispetto a quello tedesco e del 12,2% a quello francese”. Anche tenendo presente i contributi sociali, che in Italia sono più alti che in Germania e in Francia, “lo scarto, pur riducendosi, resta significativo (rispettivamente, del 16,5% e dell’11%)”.
“Aumenta la propensione al risparmio, gli italiani hanno risorse ma non le spendono”
L’associazione, che riunisce oltre 700mila imprese attive nel commercio, annota: “Restiamo, comunque, più ottimisti del governo, sebbene in misura marginale”. I consumi in Italia, rileva Confcommercio, “restano il grande assente della ripresa economica”. Il potere di acquisto “cresce più della spesa reale” delle famiglie italiane; di conseguenza, aumenta molto “anche la propensione al risparmio, raggiungendo un livello storicamente elevato al 9%”. Per il report il segnale è chiaro: “Gli italiani hanno risorse, ma scelgono di non spenderle”. Si fanno sentire decenni di bassa crescita e crisi improvvise, a cui si sommano le recenti paure legate alla fiammata inflazionistica del 2022 dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, seguita da un ciclo di forte rialzo dei tassi di interesse.