Ancora una volta Nuova Delhi si è svegliata avvolta da una nebbia densa e tossica con una visibilità ridotta e un’aria irrespirabile che ha paralizzato trasporti e vita quotidiana. L’indice di qualità dell’aria è rimasto su livelli estremamente pericolosi, stabilmente nella categoria “severe”, superando più volte quota 450.
Nella megalopoli da oltre 30 milioni di abitanti, la combinazione tra inquinamento e nebbia ha provocato ritardi a voli e treni, mentre scuole, uffici e cantieri hanno dovuto fare i conti con nuove restrizioni. Di fronte all’emergenza, le autorità hanno attivato il livello quattro, il più alto, del Graded Response Action Plan per Delhi e le aree circostanti.
Le misure includono il divieto di ingresso per i camion diesel più vecchi, lo stop alle costruzioni, comprese quelle pubbliche, la limitazione della presenza negli uffici e l’introduzione della didattica mista nelle scuole. Interventi drastici, messi in campo solo quando l’aria diventa impossibile da respirare.
Ma per ambientalisti e esperti di dati, la nebbia che avvolge Delhi non è solo fisica. È anche statistica e politica. L’India utilizza standard di misurazione della qualità dell’aria meno severi rispetto a quelli adottati in Paesi come gli Stati Uniti e inferiori alle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo fa sì che valori ufficialmente definiti “moderati” possano in realtà nascondere livelli di inquinamento pericolosi per la salute.
Nonostante il National Clean Air Program, lanciato nel 2019 per ridurre l’inquinamento fino al 40% entro il 2026, la maggior parte dei fondi continua a essere destinata al contenimento della polvere, non alle principali fonti di smog: traffico e industrie.
Eppure, secondo uno studio del Lancet, l’esposizione prolungata all’aria inquinata causa 1,5 milioni di morti aggiuntive ogni anno in India. Un’emergenza sanitaria che, denunciano le ONG, continua a non essere trattata come tale.