L’omicidio di Saman Abbas non è stato pianificato nel tempo e non è stato compiuto perché la diciottenne si era opposta a un matrimonio combinato, ma si è compiuto nel casolare di Novellara dopo la scoperta che lei voleva andarsene di casa col fidanzato. Non si esclude che sia stata la madre a compiere materialmente il delitto, durante il minuto in cui è sparita dal fuoco delle telecamere. Ma Nazia Shaheen, ancora latitante inPakistan, il marito Shabbar Abbas e suo fratello Danish Hasnain, in carcere sono tutti e tre “pienamente parimenti coinvolti” nell’assassinio e “compartecipi della sua realizzazione”.
Lo scrivono i giudici del tribunale di Reggio Emilia nelle 612 pagine di motivazioni della sentenza con cui, per l’omicidio della giovane pachistana avvenuto nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, hanno condannato in primo grado all’ergastolo il padre e la madre (latitante) e a 16 anni lo zio (che ha collaborato indicando il luogo dove aveva nascosto il cadavere, elemento di prova fondamentale), assolvendo invece i due cugini della giovane, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, immediatamente liberati.
Saman non è morta per il suo “no” alle nozze combinate
Non fu il rifiuto di Saman Abbas a sottostare a un matrimonio combinato a indurre i suoi familiari a ucciderla. Quella del rifiuto a nozze imposte che avrebbe disonorato la famiglia, si legge nelle motivazioni, è “una narrazione corrispondente a quella divulgata sin dall’inizio e a livello mediatico”. Dal punto di vista oggettivo, “della mancata celebrazione delle nozze e del disonore connesso a tale circostanza non vi è traccia alcuna nelle numerosissime intercettazioni relative ai giorni e mesi successivi ai fatti”. Infine “i tentativi di dipingere Shabbar Abbas – il padre di Saman – come violento e autoritario sono stati tutti smentiti”.
L’attenzione è invece puntata sui video dell’ultima notte in vita della ragazza, ripresa dalle telecamere di video sorveglianza dell’azienda agricola in cui gli Abbas lavoravano: la madre accompagna la figlia in una carraia e rimane fuori dagli obiettivi per circa un minuto. Questo, “non consente di escludere che sia stata lei l’esecutrice materiale”. Del resto, ha confermato l’autopsia, la morte di Saman è stata causata dalla rottura dell’osso ioide, per cui non è necessario applicare molta forza. I giudici rilevano infine che “il livello di integrazione degli odierni imputati nel contesto sociale e culturale italiano deve reputarsi prossimo allo zero”.
Il fratello di Saman bugiardo, inattendibile, inaffidabile
La Corte di assise di Reggio Emilia non risparmia critiche alla ricostruzione accusatoria, ai media che avrebbero enfatizzato e distorto la vicenda, e demolisce personaggi significativi per gli inquirenti come il fratello della ragazza o il suo fidanzato. Il giudizio non salva nessuno: la vita di Saman, scrive la Corte (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) “non è stata solo spezzata ingiustamente e troppo presto, ma è stata vissuta tra affetti falsi e manipolatori, in una solitudine che lascia attoniti”.
Al fratello, minorenne all’epoca dei fatti, sono dedicati lunghi passaggi. Da testimone cruciale, accusatore dei propri familiari (aveva detto di aver visto lo zio e i cugini quella sera), il giovane diventa un bugiardo, inattendibile, inaffidabile, con sospetti ribaditi di un suo coinvolgimento diretto. “Nessun riscontro, neppure parziale” è stato trovato alle sue dichiarazioni, osservano i giudici.
“Tacendo -sottolineano – della impressionante serie di non ricordo, oltre120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati”. Nessuna prova neppure della riunione, da lui riferita, in cui i familiari si sarebbero trovati, giorni prima, per discutere di come uccidere la ragazza. Né dimostra nulla il video del 29 aprile, dove vengono ripresi zio e cugini con le pale.
La ricostruzione dei giudici
Tutto, per la Corte, è più semplice: “Tutto accade e si decide in occasione della perdurante relazione di Saman con Saqib e dell’intenzione della ragazza di andar via di casa”. Anche perché, spiega la sentenza, dal rientro di Saman il 20 aprile “l’unica occasione in cui si è registrato un contrasto tra la ragazza e i genitori è quella della sera del 30”. Fu lì che si scoprì e si parlò della relazione col fidanzato e dell’idea di fuggire di nuovo. Fu lì che ci fu una “sequela incalzante e compulsiva di chiamate tra i due imputati”, Shabbar e Danish, dopo le 23, “anomale per numero, ripetitività e orario”, che “si spiega e si giustifica proprio e soltanto in considerazione della natura non premeditata dell’omicidio”. Forse lo zio scavò la buca poco prima e i genitori la accompagnarono a morire. Non è chiaro chi fece cosa: “Non ci sono elementi per dire che lo zio da solo abbia eseguito l’azione”. La madre Nazia potrebbe averla tenuta ferma, oppure potrebbe essere stata lei direttamente a strangolare Saman.