Cinque processi, due assoluzioni in primo grado e in appello, un processo d’appello bis con nuove perizie e fatti cruciali per ribaltare il verdetto e alla fine la condanna al massimo della pena prevista per un processo abbreviato per un delitto.
Questo l’iter giudiziario del ‘caso Garasco’ che ha portato alla sentenza definitiva di 16 anni di carcere per Alberto Stasi. Poi il colpo di scena: l’apertura di una nuova indagine.
La nuova inchiesta della Procura di Pavia su Andrea Sempio, indagato per l’omicidio di Chiara Poggi, riapre il dibattito sul caso Garlasco. Sull’amico del fratello della vittima c’è un’indagine coperta dal segreto istruttorio, per l’allora fidanzato invece una condanna definitiva che ha seguito le regole.
Le prime indagini e l’archiviazione di Sempio
La Procura di Pavia non si è mai occupata di Alberto Stasi, all’epoca c’era Vigevano poi la Corte d’Appello di Milano. Le richieste di archiviazione di Sempio, firmate dall’ex pm di Pavia Mario Venditti, hanno ottenuto l’approvazione di due diversi giudici e fanno parte dei sette tentativi della difesa Stasi di riaprire i giochi, tra cui due tentativi di revisione davanti Corte d’Appello di Brescia (nel secondo caso anche dalla Cassazione).
Di recente il ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che il processo a Stasi è stato equo. I magistrati (circa 40) che si sono occupati del condannato hanno tutti riconosciuto la responsabilità di Stasi oltre ogni ragionevole dubbio.
Stasi condannato al massimo della pena
Quando Stasi va a processo la legge gli consente di scegliere il rito abbreviato (non più possibile nei casi più efferati come dimostrano le condanne di Alessandro Impagnatiello o Filippo Turetta) e viene punito ”con il massimo della pena” prevista per l’omicidio. Alberto Stasi “non appare meritevole di alcuna attenuante” visto il comportamento ”tenuto contemporaneamente e dopo l’omicidio” data l’assenza di pietà per la vittima e avendo da subito sviato le indagini. La pena di 24 anni deve essere ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato e si arriva così ai 16 anni di condanna.
Le due assoluzioni e il processo d’appello bis
Non ci sono prove. Chiara viene colpita all’ingresso, trascinata fino alle scale della cantina, e sollevata con le mani sporche di sangue e gettata giù. Le suole insanguinate delle scarpe ‘a pallini’ dicono che l’assassino si ferma al gradino zero, poi si lava in bagno. E’ certo che l’assassino si pulisce le mani ed essendoci sul dispenser (pulito) solo le impronte di Stasi questo fa di lui l’ultimo che l’ha toccato e quindi il killer, si legge in sentenza. Una prova rafforzata dalla suola insanguinata sul tappetino del bagno davanti al lavabo: scarpa Frau numero 42 che combacia con la taglia del fidanzato. Stasi ha una bici nera da donna vista da una testimone e non ha un alibi in quei 23 minuti (tra le 9.12 e le 9.35).
Ma allora le scarpe immacolate? Stasi uccide la mattina, torna a casa e finge di lavorare alla tesi. Prova a chiamare più volte Chiara e solo dopo quattro ore, pur sapendola sola in casa, va da lei in auto indossando le scarpe Lacoste. Dice di entrare, ma la perizia dell’appello bis (che in primo grado il gup Stefano Vitelli non fa fare) dimostra che quando il laureando dice di aver sceso un paio di gradini e di aver visto Chiara senza vita sta mentendo. E’ statisticamente impossibile su quelle macchie di sangue fresco non sporcarsi le scarpe. Ed è fisicamente impossibile vedere il corpo senza scendere, le conclusioni dei giudici.
Le bugie
Il fidanzato parla di un incidente domestico difficile da credere guardando la scena del crimine. La vittima non ha il volto pallido: il sangue le ricopre il viso. Inoltre, Stasi nasconde di avere una bici nera da donna che verrà sequestrata solo alcuni anni dopo. Il processo d’appello bis svelerà che sono stati sostituiti i pedali su quella ‘Umberto Dei’ e che su altri pedali non sospetti è stato trovato il Dna della vittima.
Errori e depistaggi
Diversi carabinieri entrano in casa senza guanti e senza calzari, le scarpe di Stasi verranno sequestrate solo il giorno dopo. Passano 40 giorni e i militari notano un sistema d’allarme nell’officina di biciclette del padre dell’allora sospettato, ma è tardi: conserva solo cento eventi e i dati del 13 agosto sono cancellati. Il computer acquisito la mattina del 14 agosto viene aperto e rovistato dai carabinieri senza rispettare le procedure forensi.
E poi c’è la bici. La scelta “anomala” – costata un processo all’allora carabiniere Francesco Marchetto – di non sequestrare la bici nera da donna di Stasi ”ha avuto indubbie ripercussioni negative sull’andamento delle indagini, senz’altro non limpido, caratterizzato anche da errori e superficialità”, scrive la Cassazione.
C’è il movente?
Il ragazzo perbene e lo studente modello con “la passione per la pornografia” (a dire dei giudici) uccide con disprezzo Chiara Poggi diventata “per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare”. La ventiseienne viene colpita a morte “dall’uomo di cui si fidava e a cui voleva bene, che l’ha fatta definitivamente ‘scomparire’ in fondo alle scale”. Dopo averla uccisa “è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione, e a fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto”.
Le gemelle Cappa e la pista satanica
Piste alternative e falsità. Gli strani suicidi che avvengono a Garlasco, la pista satanica, lo strano mondo che si muove intorno al Santuario della Bozzola e sensitive che dicono di sapere chi è stato. Il presunto segreto fatale alla vittima e il sicario, l’assassino fumatore e l’ipotesi della rapina senza bottino, ogni ipotesi alternativa è stata vagliata. E le gemelle K? Dopo quasi 18 anni resta il fotomontaggio delle sorelle Stefania e Paola Cappa, cugine della vittima, e l’odio social. Hanno un alibi e di loro non c’è traccia vicino al corpo di Chiara.
La famiglia Poggi
Sui social c’è chi mette in dubbio anche il fratello Marco Poggi che era in vacanza in Trentino insieme ai genitori. Mamma Rita Preda e papà Giuseppe non hanno saltato una sola udienza dei cinque processi durati otto anni. Mai una parola di rabbia verso chi avevano accolto in casa e che hanno poi scoperto essere l’assassino. Si sono affidati alla giustizia e il verdetto di condanna ”oltre ogni ragionevole dubbio” è stato pronunciato in nome del popolo italiano. Per lo Stato Alberto Stasi è il colpevole dell’omicidio di Chiara Poggi.
Nordio: “Irragionevole non aver rifatto il processo”
“Trovo irragionevole che, dopo una sentenza o due sentenze di assoluzioni, sia intervenuta una condanna senza nemmeno rifare l’intero processo. Tutto questo è irrazionale perché, se per legge si può condannare soltanto, al di là di ogni ragionevole dubbio, quando uno o più giudici hanno già dubitato al punto da assolvere, non si vede come si possa condannare. Questo secondo me è irragionevole”. Così si è espresso il ministro della Giustizia Carlo Nordio a ‘Zona bianca’, talk show su Rete 4, commentando le parole del giudice Stefano Vitelli che nel 2009 assolse Alberto Stasi, secondo il quale il “ragionevole dubbio” non è stato applicato nella sentenza di condanna.
Secondo Nordio, quello che definisce “irragionevole” andrebbe cambiato “con una riforma che noi abbiamo provato a fare e abbiamo fatto a metà”, ha detto ancora il Guardasigilli.
Il ministro ha parlato poi del possibile impatto che il caso di Garlasco potrebbe avere sulla percezione della giustizia in Italia. “Credo che purtroppo in questo momento l’opinione pubblica e l’opinione del cittadino nei confronti della giustizia sia abbastanza negativa – spiega – secondo me più di una colpa dei magistrati è una colpa delle leggi. I magistrati amministrano queste leggi che sono imperfette e che consentono addirittura di procrastinare dei processi all’infinito anche quando bisognerebbe avere il coraggio di chiuderli”.
Commenti critici alle parole del ministro Nordio sono arrivate dal capogruppo di Avs in Commissione Giustizia della Camera Devis Dori: “Nella complessità e nelle ambiguità del caso Garlasco si inserisce a testa bassa un ministro della Giustizia che non esitiamo a definire irresponsabile. Il suo commento delle sentenze non è solo inopportuno, è del tutto fuori dal mondo. Un ministro della giustizia non commenta mai le sentenze. Nordio sta zitto quando deve parlare, parla quando deve tacere”.