Il governo, nel corso del Consiglio dei ministri di questo pomeriggio a Palazzo Chigi, ha deciso di impugnare la legge della Regione Toscana sul fine vita. Lo si apprende al termine della riunione del Consiglio dei ministri.
Con la sentenza del 2019, poi confermata con un’altra sentenza nel 2024, la Corte Costituzionale ha di fatto concesso alle regioni la possibilità di regolare il ricorso al suicidio assistito, nei limiti di quanto previsto dalla sentenza stessa e salvo l’approvazione di una legge statale, legge che ancora manca.
C’era tempo fino al 17 maggio per impugnare la legge regionale toscana sul fine vita. Erano state già sospese le delibere dell’Emilia Romagna, sempre sullo stesso tema. Dopo settimane di stallo si torna a lavorare a un nuovo testo base per una legge nazionale.
Due mesi fa, una prima apertura in Senato, con due ipotesi di definizione, sul fine vita e sull’inviolabilità del diritto alla vita. Mercoledì il senatore dem Alfredo Bazoli è tornato a chiedere in Aula la calendarizzazione del provvedimento. Nelle prossime settimane verrà presentato un nuovo testo base, che sarà il punto di partenza per il confronto tra i gruppi e per nuovi emendamenti. “Di fronte alle leggi regionali che incombono e alla pronuncia del Tar, il Parlamento ha la necessità di intervenire con una certa urgenza”, ha detto uno dei relatori di Forza Italia, Pierantonio Zanettin, dell’idea che “i tempi siano maturi per avviare un percorso”.
Cosa prevede la legge della Regione Toscana sul fine vita
Secondo la legge regionale, “possono accedere alle procedure relative al suicidio medicalmente assistito le persone in possesso dei requisiti indicati dalle sentenze della Corte Costituzionale 242/2019 e 135/2024”. Secondo le due sentenze della Corte Costituzionale, il suicidio assistito è possibile quando la patologia è irreversibile, la persona vive sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, c’è una situazione di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e il paziente ha la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.
La legge poi stabilisce che entro 15 giorni dall’entrata in vigore le aziende sanitarie locali “istituiscano una Commissione multidisciplinare permanente per la verifica della sussistenza dei requisiti”. La Commissione, individuata su base volontaria, sarà formata da un medico palliativista, cioè specializzato in cure palliative, uno psichiatra e un anestesista, uno psicologo, un medico legale e un infermiere, oltre a un medico specialista della patologia da cui è affetta la persona che richiede il suicidio medicalmente assistito.
Per accedere alla pratica la persona interessata deve presentare all’azienda sanitaria locale un’istanza per l’accertamento dei requisiti, corredata dalla documentazione sanitaria. In seguito, l’azienda sanitaria locale trasmette l’istanza alla Commissione e al Comitato per l’etica nella clinica. La procedura per la verifica dei requisiti si deve concludere entro venti giorni dalla presentazione dell’istanza. La Commissione verifica quindi che il paziente abbia ricevuto informazioni adeguate relative alla possibilità di accedere a un percorso di cure palliative e, se il richiedente conferma la sua intenzione, la Commissione esamina la documentazione. Dopo aver chiesto un parere al Comitato sugli aspetti etici del caso in esame, redige la relazione finale e l’azienda sanitaria comunica gli esiti dell’accertamento alla persona interessata.