La mattina del 16 marzo 1978 Aldo Moro viene sequestrato dalle Brigate Rosse, dopo lo sterminio della sua scorta in via Fani.
La fuga delle tre auto con a bordo il presidente della DC viene osservata da alcuni testimoni fino all’altezza di un albero che di trovava al centro della carreggiata di via Massimi, nel quartiere Trionfale. Oltre quel riferimento topografico si perdono le tracce del convoglio brigatista. Proprio lì, in corrispondenza di quell’albero, c’è la svolta per raggiungere dopo poche centinaia di metri la Loyola University di Roma. E dove oggi si trova il campus della prestigiosa università gesuita americana, all’epoca si trovava un cantiere edile in fase di ultimazione: gli studenti, il corpo docente e il personale amministrativo si sarebbero trasferiti in quei locali a partire dalla fine dell’estate, in prossimità dell’inaugurazione del nuovo anno accademico.
L’ipotesi del cantiere della Loyola come prima prigione di Aldo Moro si basa su alcuni elementi convergenti, nessuno dei quali di per sé decisivo per cambiare un racconto sedimentato negli anni e confermato dalle sentenze dei processi.
Ma tutto cambia con un oggetto trovato nel covo di via Monte Nevoso 8 a Milano. Lì si trovava il quartier generale delle Brigate Rosse. Lì sono stati trovati il Memoriale di Aldo Moro e la copia delle sue preziose lettere, alcune recapitate altre invece mai arrivate ai loro destinatari.
Il covo fu scoperto il primo ottobre del 1978 grazie a un’operazione guidata dal generale Dalla Chiesa. In quel blitz furono arrestati i brigatisti Lauro Azzolini, Nadia Mantovani e Franco Bonisoli, membro del gruppo di fuoco che ha operato in via Fani.
Entrando nel covo dei brigatisti i Carabinieri trovano diversi oggetti, tutti accuratamente elencati nel loro verbale. Accanto al reperto numero 42 si legge: “Una borsa in tela rossa con su scritto ‘Loyola University Chicago’. Segue la descrizione del contenuto della borsa, costituito da scatole di medicinali utili per intervenire in caso di ferite da arma da fuoco, un vero e proprio kit di pronto soccorso con antibiotici generali, locali, laccio emostatico e siringa.
Mai e poi mai mi sarei aspettato di trovare il nome della università gesuita americana associato al più importante covo delle Brigate Rosse. La presenza di quella borsa ribalta chi abbia l’onere della prova: non è più compito mio giustificare l’ipotesi di un carcere di Moro presso l’università, ma è compito dei brigatisti spiegare cosa ci facesse quella borsa nel loro covo. Di certo non era un gadget reperibile facilmente. Oggi siamo abituati a questo tipo di merchandising, ma 47 anni fa non era così. Il contatto deve essere stato diretto, qualcuno dei brigatisti deve andato nella sede dell’università. E’ un elemento fattuale che collega direttamente i brigatisti all’università di Chicago.
La borsa in tela rossa, col logo della Loyola, apre un’inedita e sorprendente nuova pista di indagine sul caso Moro.