Plasticità ed eterogeneità: sono queste le due parole chiave per definire alcune cellule tumorali. Il significato di queste definizioni arriva da una ricerca – a firma di ricercatori italiani del MD Anderson Cancer Center (Texas, USA), provenienti dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dei loro maestri, i professori Giampaolo Tortora e Alessandro Sgambato – recentemente pubblicata su Nature, che spiega come le cellule tumorali possano diventare più aggressive a causa di un processo di trasformazione: un meccanismo che rende le cellule più aggressive, permettendo loro di sfuggire a vari tipi di controllo. Questa è la cattiva notizia. Quella buona è che questa scoperta può consentire ai medici di intercettare in tempo questa ‘plasticità’, e quindi, di intervenire per tempo.
Le cellule ‘trasformer’ sempre più aggressive
I tumori si dividono in carcinomi (che rappresentano l’80-90% dei casi totali di cancro, sono i tumori della pelle e dei rivestimenti degli organi che hanno origine dalle cellule epiteliali) e in sarcomi (tumori che spesso si presentano nelle ossa e che hanno origine nei tessuti di sostegno e connettivi, come le ossa, i tendini, le cartilagini, i muscoli e il grasso, e che originano dalle cellule mesenchimali). Dopo questa sintetica premessa, bisogna aggiungere che le cellule tumorali e i noduli tumorali (costituiti da cellule molto diverse tra di loro) accumulano mutazioni in continuazione. In alcuni tumori, poi, come in quello del pancreas, a complicare ulteriormente le cose, alcune di queste caratteristiche, acquisite strada facendo dalla cellula tumorale, risultano più ‘tipiche’ delle cellule mesenchimali, che non delle cellule epiteliali.
Gli esperti la chiamano epitelial mesenchimal transition (EMT), una vera e propria transizione da cellula epiteliale a cellula mesenchimale ed è un meccanismo che rende le cellule più aggressive, permettendo loro di sfuggire a vari tipi di controllo.
Il caos all’interno del DNA della cellula
“Quando all’interno di un adenocarcinoma (un tumore che origina da un epitelio) è presente una componente mesenchimale – spiega il professor Giampaolo Tortora, Ordinario di Oncologia Medica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttoredel Comprehensive Cancer Center di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS – l’atteggiamento di quella neoplasia è più aggressivo. Ma non solo. La transizione da cellula epiteliale a cellula mesenchimale comporta il caos all’interno del DNA della cellula. Si verificano cioè alterazioni macroscopiche del DNA, che diventano talmente numerose da provocare la frammentazione dei cromosomi (‘cromotripsi’).
Questi ‘pezzi’ rotti inoltre si ricompongono, si riarrangiano tra loro a caso, in maniera disordinata, creando ulteriori disastri. Questo studio ha evidenziato che l’acquisizione di queste caratteristiche ‘mesenchimali’ porta a grossolane alterazioni nel DNA e ad una maggior aggressività delle cellule tumorali”.
“Questa scoperta – prosegue il professor Tortora – rappresenta l’inversione del paradigma secondo cui ‘il genotipo determina il fenotipo’, cioè che la cellula appare e si comporta in un certo modo perché il suo DNA le ha detto di comportarsi così. Qui il discorso si inverte perché le caratteristiche delle cellule tumorali epiteliali (nel caso per esempio di un adenocarcinoma), influenzate dal microambiente tumorale (col quale c’è uno scambio continuo di informazioni e di condizionamenti) determinano delle modifiche radicali del DNA. In questo caso insomma è il fenotipo a condizionare il genotipo. A causa di questa situazione microambientale, avvengono quei fenomeni come le alterazioni del DNA e la frammentazione dei cromosomi, che a loro volta determinano una profonda alterazione dei comportamenti delle cellule. Insomma, siamo fuori dal dogma il ‘genotipo determina il fenotipo’ perché in questo caso, il fenotipo acquisisce delle caratteristiche che sono in grado di modificare il genotipo (che poi a sua volta dà origine ad un nuovo fenotipo)”.
L’eterogeneità e la plasticità delle cellule tumorali, parole chiave in questo studio, dimostrano ulteriormente che il tumore non è un nemico unico da combattere, ma tanti nemici diversi che, tra l’altro, si trasformano continuamente sotto i nostri occhi.
L’importanza della scoperta: intercettare la plasticità per intervenire con terapie opportune
Oltre alla straordinaria importanza delle scoperte descritte nello studio pubblicato oggi su “Nature”, ci sono potenziali ricadute pratiche molto importanti. “Come ad esempio – afferma il professor Tortora – l’individuazione futura di alcuni biomarcatori che identificano e intercettano questa plasticità della cellula tumorale, per sfruttarla in termini diagnostico-terapeutici, così da poter intervenire in modo tempestivo, ad esempio modificando la terapia”.
La transizione epitelio-mesenchimale è tipica di tanti tumori, ma è più esaltata nei tumori del pancreas. Questo studio ribadisce anche, ancora una volta, che il tumore del pancreas è un unicum nella geografia dei tumori, ma potrebbe anche diventare un paradigma per capire gli altri. “Quello che stiamo imparando – commenta il professor Tortora – quasi sicuramente avrà delle ricadute su tanti altri tumori in cui la EMT è una modalità acquisita dal tumore per sfuggire al controllo e alle terapie”.
Il tumore ‘plastico’ è più resistente
Questi meccanismi sono anche alla base della metastatizzazione e della formazione di metastasi da metastasi, cioè di metastasi che diventano trampolino di lancio per altre metastasi (cioè che partono dalle metastasi e non dal tumore primitivo). Più il tumore si adatta ed è ‘plastico’, più è in grado di infiltrare, di invadere, di acquisire resistenza al trattamento. “Questi meccanismi – conclude il professor Tortora – potrebbero un giorno diventare target terapeutici o aiutarci nella diagnosi e nel monitoraggio della risposta alla terapia se riusciremo ad intercettare le sostanze che favoriscono questi adattamenti/cambiamenti tipici della EMT, magari con l’aiuto dell’intelligenza artificiale”.
Luigi Perelli e Giannicola Genovese (rispettivamente primo autore e corresponding author dello studio su “Nature”) (Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS)
L’Università Cattolica è incubatore e fucina di tanti talentuosi ricercatori. Luigi Perelli e Giannicola Genovese (rispettivamente primo autore e corresponding author dello studio su “Nature”) provengono proprio dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Cattolica. Tra gli autori dello studio su Nature c’è anche Enrico Gurreri che si è specializzato in Oncologia all’Università Cattolica lo scorso novembre e ha fatto la sua tesi di specializzazione proprio all’MD Anderson Cancer Center.
Sgambato: “Uno studio che permetterà per approcci nuovi per affrontare il tumore al pancreas”
“La pubblicazione di questo lavoro – afferma il professor Alessandro Sgambato, Vicepreside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Ordinario di Patologia generale e Direttore della Facility di Multiplex Imaging Profiling di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS – è per me motivo di grande soddisfazione e di orgoglio, sia per la nostra istituzione, che personale. Il lavoro, infatti, è molto significativo e ci offre l’opportunità di guardare con occhi nuovi a una patologia molto aggressiva qual è il cancro del pancreas aprendo la strada allo sviluppo di nuovi approcci diagnostico-terapeutici utili non soltanto per questa ma anche per altre patologie tumorali. Il lavoro è stato ideato e portato a termine con la collaborazione di altri ricercatori, dai dottori Perelli e Genovese che provengono entrambi dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e hanno iniziato il loro percorso di ricerca entrambi nel mio laboratorio. Tra gli autori dello studio c’è anche il dottor Gurreri che ha svolto la sua tesi di laurea nel mio laboratorio e successivamente si è specializzato in Oncologia lo scorso novembre sotto la supervisione del professor Tortora, svolgendo parte del suo lavoro di tesi proprio all’MD Anderson Cancer Center nell’ambito di una collaborazione in corso con il gruppo del professor Tortora. Si tratta, quindi, di tre generazioni di allievi che si sono formati nella nostra Facoltà di Medicina e Chirurgia, si sono appassionati alla ricerca oncologica nei nostri laboratori per poi farsi strada nella comunità scientifica internazionale, andando a lavorare in un prestigioso centro di ricerca statunitense, ma continuando a mantenere proficui rapporti con la nostra Università.”