Nella serata di domenica primo dicembre si è diffusa la notizia delle dimissioni di Carlos Tavares, accolte all’unanimità dal CdA di Stellantis. Il gruppo ha fatto sapere che il processo per la nomina di un nuovo amministratore delegato è già iniziato e si concluderà entro la prima metà del 2025. Nel frattempo, sarà istituito un nuovo comitato esecutivo presieduto da John Elkann. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova ed esperto di automotive.
Sabella, cosa dire a caldo delle dimissioni di Tavares?
Un fulmine in un cielo che tanto sereno non era, possiamo dire così. Giungono un po’ inaspettate, in questo momento, ma i problemi che riguardano lui e Stellantis sono piuttosto noti. Del resto, per quanto non siano del tutto chiare le ragioni che abbiano indotto Tavares a dimettersi, le parole del consigliere Henri de Castries (ex presidente di Axa) sono piuttosto eloquenti e confermano che nelle ultime settimane sono emerse vedute differenti tra il manager e il CdA, in particolare circa la situazione di Stellantis negli Stati Uniti che proprio due mesi fa ha visto crollare profitti e vendite.
Sotto la guida di Tavares, Stellantis nasce e diviene il secondo gruppo dell’auto in Europa. Cosa dire della sua gestione?
Tavares ha guidato la fusione tra FCA e PSA. Ma se Stellantis è il secondo gruppo dell’auto in Europa ciò è merito anche di FCA e, soprattutto, di Sergio Marchionne. Inoltre, rispetto al manager canadese – fattore evidenziato anche dalla Cisl – Tavares non ha mai creduto nelle relazioni industriali: non si possono governare imprese di questa portata senza investire nel lavoro e nel suo tessuto. Possiamo però dire che Tavares ha compiuto la missione che gli è stata assegnata: creare un grande gruppo dell’auto consolidando la produzione in Francia e salvando il salvabile in Italia. A ogni modo, in particolare nell’ultimo anno, la crisi del comparto si è fatta sentire e la posizione di Tavares si è compromessa. Difficile, anche, giustificare un emolumento da 36 milioni di euro – il più alto del settore – con stabilimenti sempre più improduttivi, lavoratori in cassa integrazione e auto parcheggiate nei piazzali. Dopodiché, la crisi di Stellantis è la crisi dell’industria dell’auto, soprattutto europea. Ma, tuttavia, le responsabilità di Tavares sono evidenti.
A cosa si riferisce in particolare?
Facciamo un passo indietro. A marzo 24, Luca De Meo (ceo di Renault e presidente dell’Associazione dell’industria europea dell’auto) ha scritto una Lettera all’Europa con la quale denuncia il pericolo cinese e con la quale ha invitato Istituzioni e stakeholder del settore automotive a riflettere su un progetto comune, tipo “Airbus”, in ragione dei costi elevati della tecnologia elettrica. Tavares, nello stesso tempo, rilasciava interviste dicendo “dobbiamo gestire una transizione che non abbiamo deciso noi e la stiamo mettendo in atto”. In realtà, la complicità dei grandi costruttori europei è stata decisiva nelle scelte della Commissione, in particolare nell’approvazione del Fit for 55. Proprio Carlos Tavares e Oliver Blume (CEO del gruppo Volkswagen) hanno più volte detto che le case automobilistiche da loro guidate sarebbero arrivate ben prima del 2035 a produrre soltanto auto elettriche. Oggi ci accorgiamo tutti delle scelte sbagliate sul motore elettrico, unica tecnologia buona dal 2035. Non è pensabile però che i vertici della grande industria commettano queste leggerezze per cui oggi il sistema europeo paga un grande pegno.
Cosa può aver indotto Tavares e Blume in particolare in queste errate valutazioni?
Ai nostri giorni, per effetto della contrazione del mercato europeo dell’auto negli ultimi 15 anni, i grandi costruttori hanno pensato che l’auto elettrica potesse essere un volano per il rinnovo del parco circolante – ravvivando così le vendite – e per rilanciare l’industria europea, anche in scia alle nuove esigenze dettate dalla crisi climatica. Mentre da Oriente arrivano le supernavi cariche di auto elettriche prodotte in Cina, Volkswagen, Stellantis e Renault, ma anche Mercedes, Audi, Bmw, stanno tutte ripensando i loro piani scaricando le responsabilità delle scelte recenti sulla Commissione: la verità è che i loro errori di valutazione sono stati decisivi. Quindi, più che prendercela con le Istituzioni, dovremmo porre qualche domanda ai grandi costruttori europei.
A questo proposito, dal quartier generale di Wolfsburg dicono che – se in tre anni non danno una svolta alla situazione – la Volkswagen rischia di chiudere. Come possono i grandi costruttori europei uscire da questa crisi?
C’è solo un modo per uscire da questa crisi: bisogna che sul piano della ricerca, siano individuate nuove tecnologie che restituiscono competitività all’industria europea. Per mezzo secolo, l’Europa è stata il baricentro della produzione mondiale dell’auto, il motore diesel inventato dai tedeschi è stato copiato in tutto il mondo, l’Italia è stata leader nella produzione di motori (si pensi a Ferrari e Lamborghini per esempio). Ma è mai possibile che ci siamo messi a inseguire la Cina la cui industria è un prodotto degli ultimi 30 anni? Questa cosa è incredibile. Ed è incredibile che di questo abbaglio sia stato vittima anche Carlos Tavares che è sempre stato considerato uno dei più bravi manager dell’auto.