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Home » Le polemiche politiche sulla manovra economica, Giorgetti sotto tiro
Economia e Finanza

Le polemiche politiche sulla manovra economica, Giorgetti sotto tiro

Di Sala Notizie10 Novembre 20255 min di lettura
Le polemiche politiche sulla manovra economica, Giorgetti sotto tiro
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Le polemiche politiche sulla manovra economica, Giorgetti sotto tiro

“Come sapete il governo ha proposto al Parlamento di continuare nel 2026 sulla strada percorsa nei mille giorni: quindi controllo sulle spese, supporto all’investimento, sostegno ai redditi reali e investimenti in sanita’. Sono le linee direttrici che hanno permesso in 3 anni all’Italia di ridurre il deficit di 5 punti e mezzo, tornare in avanzo primario, portare lo spread da 236 a 75 punti base, migliorare il rating sovrano. Insomma: la strada fondata su gestire i conti degli italiani con responsabilita’, pragmatismo e prudenza”. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in video collegamento con un evento organizzato dalla Camera di Commercio di Sondrio.  “Sono valori che chi vive in queste terre conosce bene – ha aggiunto – che da Sondrio ho fatto miei e ogni giorno porto con me nel lavoro di ministro”.

 “Salvini sfiducia Giorgetti, dice che non è la sua manovra. Chiede di rivederla sul fronte rottamazione, sicurezza e pensioni. Non una parola sulle vere carenze della legge di bilancio, la più piccola degli ultimi anni: zero per la casa, zero per il trasporto pubblico locale, tutte cose di cui Salvini dovrebbe occuparsi. Non c’è una strategia per lo sviluppo e mancano del tutto politiche industriali. Il taglio delle tasse è irrilevante mentre come da tre anni a questa parte sono consistenti i tagli alle voci sanità e welfare.
Salvini sfiducia Giorgetti anche sulla spesa per la difesa: dimentica che quell’aumento è il frutto della decisione di Meloni di accettare, senza che sia sentita una parola da parte di Salvini, il diktat imposto da Trump per lo spropositato aumento della spesa militare in ogni paese Nato”. Così in una nota Chiara Braga, Capogruppo Pd alla Camera dei Deputati.

Da Bari dove il centrodestra è accorso a sostenere la candidatura di Luigi Lobuono in Puglia, parlano i leader della coalizione di maggioranza.

 La difesa della Manovra e l’attacco trasversale alla Cgil. Il plauso per la riforma della giustizia e l’enfasi sugli sforzi per la sanità pubblica. E poi le stilettate rivolte alle opposizioni e al governo locale. Così i leader di centrodestra provano a tirare la volata al candidato della coalizione in Puglia, Luigi Lobuono. Sul palco a Bari salgono la premier Giorgia Meloni, i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani e il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi. Tutti sottolineano l’unità del centrodestra, con tanto di foto di gruppo accanto al civico in corsa per la presidenza. Poi ciascuno insiste sul proprio cavallo di battaglia. Salvini usa parole dure sui migranti, Tajani alza un muro per difendere la casa dalle tasse. E la presidente del Consiglio è chiamata a fare sintesi, rivendicando i risultati del suo esecutivo. A partire dalla legge di Bilancio. “La sinistra ci viene a dire che questa Manovra favorisce i ricchi. Io penso che ci voglia molto coraggio a sostenere una tesi del genere”, affonda Meloni. Che insiste: “Secondo loro, chi guadagna 2.400 euro al mese e magari mantiene tre figli è un ricco che va mazzolato, io non sono d’accordo”. La premier snocciola poi i dati sulla sanità: “Un milione e 300mila prestazioni in più nei primi sette mesi dell’anno, 2 milioni entro gennaio”. E, nell’attaccare la “supponenza di una sinistra condannata ai margini”, sottolinea il consenso crescente del Governo.Quindi punge sul referendum sulla giustizia: “A chi pensa di mandare a casa Meloni con un ‘no’, dico ‘mettetevi l’anima in pace’. Arriviamo a fine della legislatura. Meloni a casa ce la possono mandare solo gli italiani: una cosa alla quale la sinistra non è abituata, la democrazia”. Un avvertimento, ma anche un appello diretto al “popolo”, che invita a essere “implacabile e pretenzioso”. La platea di Bari acclama la leader. “Giorgia, Giorgia”, è il coro che la accoglie. Interrompendo di continuo il suo discorso. Ma il parterre si infiamma già prima, quando Salvini lancia la bordata sui migranti.Il leader della Lega ricorda il Bataclan. Poi non usa mezzi termini.”L’Europa – dice dal palco – sta permettendo a troppi migranti soprattutto islamici di entrare nel nostro Paese e di distruggere il nostro tessuto valoriale, economico e sociale. Il problema è pretendere che chi arriva a Bari rispetti la nostra cultura, la nostra religione, la nostra Costituzione. Quelli che non sono disposti a farlo, cristianamente e generosamente, fuori dalle palle”. E dopo aver ribadito il concetto – “fuori dalle palle” – torna sulle radici cristiane: “Il termine remigrazione per blindare le frontiere può e deve essere oggetto di discussione anche in Italia. Si avvicina il Natale: se qualcuno si azzarda a dire ‘togliete il presepe e il crocifisso’, guai a voi. Diamo rispetto ma pretendiamo rispetto”. Poi, nel giorno di una parziale retromarcia di via Bellerio sul ddl Valditara, insiste: “È fondamentale che chi insegna ai nostri figli, invece di portare in classe ideologie gender o schifezze di quel genere, possa insegnare la buona educazione”.Il vicepremier azzurro, invece, sceglie l’elogio del centro e della componente moderata della coalizione. Anche se non rinuncia ad attaccare “il sistema della sinistra”, fatto da “amici degli amici e clientele”. Chiama al cambio di passo in Puglia. Ma sono i temi nazionali che accendono i sostenitori del Teatro Team di Bari. A partire dalla battaglia sulla riforma della giustizia, su cui convergono tutti e quattro i leader. “Togliamo la magistratura dal controllo politico e questo alla sinistra non va giù”, incalza Meloni, “sono certa che migliaia di magistrati nel segreto dell’urna voteranno a favore di una riforma di buon senso”. E mentre la campagna referendaria muove i primi passi, i lavori sulla Manovra entrano nel vivo. “Avremmo fatto una ‘manovrona’ senza i 40 miliardi del Superbonus”, rimarca la premier attaccando Giuseppe Conte. Ma l’offensiva è soprattutto diretta ancora una volta verso Maurizio Landini. “Lo sciopero generale è convocato rigorosamente di venerdì, perché non sia mai che la rivoluzione la facciamo di martedì. A dimostrazione che i contenuti dei provvedimenti e soprattutto i diritti dei lavoratori non sono esattamente prioritari per alcuni”, è l’affondo della premier. Condiviso e reiterato da tutti i leader sul palco.

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