L’impatto dei dazi al 15% sul Pil italiano sarà di “un calo massimo cumulato di 0,5 punti nel 2026” seguito poi da “un graduale recupero” e da un riallineamento allo scenario base.
Lo ha detto, durante il question time alla Camera, il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti che ha aggiunto :”Parlare ora di iniziative di contrasto agli effetti dei dazi sulle imprese è prematuro”. Il 27 luglio in Scozia, secondo Giorgetti, è stato raggiunto un accordo politico , il Patto di Turnberry, tra Unione Europea e Stati Uniti per definire i parametri chiave delle relazioni commerciali tra le due aree. Il dazio del 15% per i prodotti europei , ha detto il ministro , “presenta elementi che avranno un impatto su diversi settori produttivi italiani. Le discussioni collegate all’intesa sono ancora in corso, in particolare per quanto riguarda le possibili esenzioni dal dazio orizzontale del 15%”. L’intesa preannuncia la chiusura di una fase di incertezza e scongiura una guerra commerciale. Secondo il ministro, “un quadro di certezze sul piano regolatorio rappresenta infatti una imprescindibile premessa rispetto all’adozione delle misure funzionali a garantire le imprese italiane e ad aumentare o anticipare la programmazione di investimenti”.
Una considerevole quota delle esportazioni italiane è destinato al mercato statunitense, per questo l’accordo avrà un impatto non trascurabile sull’economia nazionale ed europea, la cui entità dipenderà ovviamente dai dettagli dell’accordo che saranno definiti nelle prossime settimane, ha precisato Giorgetti. ” Continuiamo dunque a lavorare, insieme alla Commissione Europea, per ottenere un accordo che sia il migliore possibile per il nostro Paese”, ha proseguito specificando che “parlare ora nel dettaglio di iniziative di contrasto degli effetti dei dazi sulle imprese italiane sarebbe prematuro. Quello che va confermato è che l’Italia è impegnata in ambito europeo a promuovere una politica commerciale dell’Ue ambiziosa, che consenta, attraverso l’espansione della rete di accordi di libero scambio dell’Unione con Paesi terzi, di fornire alle imprese nuove opportunità di diversificazione commerciale e catene di approvvigionamento sicure e affidabili per le materie prime di cui abbiamo bisogno, valorizzando nuove aree geografiche caratterizzate da forte dinamismo e crescente domanda di made in Italy”.
Dal punto di vista finanziario l’impatto macroeconomico delle misure tariffarie “risulta proporzionalmente crescente all’aumentare dell’aliquota applicata. Fermo restando che una proiezione più dettagliata sarà possibile solo quando tutti gli aspetti dell’accordo saranno definiti, è possibile fin da ora prevedere in ordine all’impatto sul Pil reale italiano, nello scenario con dazi al 15%, un calo massimo (cumulato) di 0,5 punti percentuali nel 2026, seguito da un recupero graduale che porta il livello a riallinearsi a quello dello scenario base entro il 2029, in coerenza pertanto con le stime fornite dal documento di finanza pubblica” .
A quanti gli chiedevano, a margine del question time, delle polemiche per una sua frase sulla difficoltà di sostenere dazi oltre il 10%, Giorgetti ha risposto: “Io avevo detto ‘non molto lontano dal 10%’, non avevo in mente il 15%, forse ce l’avevo già in mente, quello che ho ribadito in Aula e che dovrebbe essere valutato è che il 15% contiene i dazi base che già esistevano del 4,9% quindi la differenza tra il 15% e il 4,9 fa quasi 10, però questo da ragioniere non da ministro dell’Economia”.
Su una possibile abolizione della web tax come leva nei confronti di Washington, Giorgetti ha aggiunto: “”E’ una vecchia storia. La web tax non è contenuta negli accordi che hanno fatto in Scozia, già quando è stata introdotta ha causato un po’ di contenzioso, noi valuteremo, abbiamo delle ipotesi anche sul tavolo da proporre naturalmente è una questione che non è definita e non è stata definita in sede europea perché l’Italia ce l’ha, altri Paesi in Europa no”.
Il ministro si è anche soffermato sulle previsioni di crescita nazionale, sottolineando i segnali positivi sul credito a famiglie e imprese. Nel Dfp di primavera, ha detto, il governo “ha fatto delle previsioni prudenziali e ha previsto una crescita dello 0,6% che noi ribadiamo oggi”. Secondo il ministro dell’economia, nell’ultimissimo periodo sarebbero arrivati segnali positivi sia sui prestiti bancari alle famiglie, “che sono incrementati in modo significativo”, sia sul credito alle imprese, la cui contrazione rappresentava “un elemento di forte preoccupazione”.