Una struttura stabile e organizzata, frutto di un’alleanza (“un unico corpo”) tra cosche dei locali dei tre “mandamenti” della provincia di Reggio Calabria, sovraordinata alle singole articolazioni e a queste complementare, che gestiva il traffico di droga: questa la novità emersa dall’inchiesta “Millennium” che stamani ha portato all’arresto di 97 persone – 81 in carcere e 16 ai domiciliari – ritenute a vario titolo legate ai maggiori clan di ‘ndrangheta del Reggino.
La struttura, secondo quanto emerso, si occupa, tra l’altro, di importare dall’estero (specialmente Colombia, Brasile e Panama) ingenti quantitativi di cocaina nascosta in container imbarcati su navi, e al successivo recupero attraverso il porto di Gioia Tauro, sfruttando la compiacenza di squadre di operatori portuali. La droga viene poi distribuita su tutto il territorio nazionale, attraverso una ben rodata struttura organizzata e diretta dalle cosche. I provvedimenti di oggi costituiscono l’epilogo di indagini svolte dai carabinieri dei Nuclei investigativi del Comando provinciale di Reggio Calabria e del Gruppo di Locri, nonché dalla Sezione operativa della Compagnia di Locri, sotto il coordinamento della Dda di Reggio Calabria, sin dal 2018, e raggruppano 5 procedimenti penali che riguardano le maggiori consorterie di ‘ndrangheta operanti nei tre mandamenti della provincia reggina, centro, jonico e tirrenico.
L’inchiesta ha confermato la caratteristica di unitarietà dell’ndrangheta ridisegnando e aggiornando la struttura e i vertici, oltre a confermare l’attualità dell’esistenza della struttura di ndrangheta denominata “provincia”, cioè un organo collegiale che svolge una funzione di raccordo tra i “locali” reggini e quelle dislocate in altre regioni e all’estero e che regola ogni nuova costituzione di strutture di ‘ndrangheta, ingerendosi anche nelle assegnazioni delle nuove cariche, garantendo il rispetto delle regole dell’associazione e dirimendo controversie tra gli associati. Le indagini hanno inoltre permesso di registrare l’operatività dei “locali” reggini di Sinopoli, Platì, Locri, Melicucco e Natile di Careri, nonché di quelli di Volpiano (Torino) e Buccinasco (Milano).
Oltre all’attività estorsiva, le cosche, secondo l’accusa, avevano la capacità di infiltrazione nelle amministrazioni pubbliche, così da ottenere informazioni propedeutiche allo svolgimento delle attività criminali, come quelle sulle procedure degli appalti e sullo stato dei pagamenti utili per infiltrarsi, grazie anche alla compiacenza di imprenditori collusi, in attività economiche collegate, quali, la vendita di mascherine e guanti all’Asp di Reggio Calabria. Dalle indagini sono emerse anche pratiche illegali di procacciamento di voti in diverse consultazioni elettorali e in particolare per una candidata (poi non eletta) alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria.