“Nessuno meglio di me sa cosa sta provando Antonella, la madre di Arcangelo Correra. Vorrei abbracciarla e piangere insieme a lei. L’incubo di sabato mattina, l’ho già provato sulla mia pelle. Ed è anche per il dolore che accomuna me e Antonella, che chiedo allo Stato di fare qualcosa per i figli di Napoli: qui girano troppe armi, sono in tanti a vivere con la pistola addosso”.
Sono le parole di Anna Elia, intervistata dal Messagero. Anna è la madre di Renato Caiafa, il 19enne in cella nel corso delle indagini sull’uccisione del 18enne Arcangelo Correra. Quando dice di sapere che cosa la madre del ragazzo ucciso da un colpo di pistola stia provando, si riferisce alla morte dell’altro suo figlio, Luigi Carafa, ucciso a 17 anni da un poliziotto il 4 ottobre del 2020 durante una rapina nel cuore di Napoli.
Renato maneggiava la pistola dalla quale sarebbe inavvertitamente partito il colpo che ha ferito a morte l’amico e cugino.
“Mamma, dille che è stato un errore”
Mio figlio, dice Anna, “è un bravo ragazzo. Ha compiuto da poco 19 anni, si arrangia a fare l’aiutante pizzaiolo. Cinque anni fa ha perso suo fratello Luigi e il padre in pochi mesi: lascio a lei immaginare che cosa si porta dentro mio figlio”.
Di quel sabato mattina “so solo quello che mi ha raccontato lui. Ho le sue parole che mi rimbombano in testa. Mi ha detto: ‘Mamma vai da Antonella (che è la mamma di Arcangelo) e diglielo che è stato un errore, che non volevo, che non so perché è partito quel colpo’.
Mi ha anche raccontato la scena dello sparo: mi ha detto che si stavano passando tra le mani la pistola quando è partito un colpo che ha raggiunto alla fronte Arcangelo. Arcangelo ha parlato per qualche secondo. Ha detto agli amici di non preoccuparsi ‘che non era successo niente’, fino a quando poi ha perso conoscenza. Lo hanno portato in sella allo scooter in ospedale”.
Poi ha aggiunto: “Escludo che quella pistola fosse di esclusiva appartenenza di mio figlio. Chi possiede un’arma ha soldi, perché le pistole costano, e mio figlio non ne aveva di soldi”. Oggi alle istituzioni chiede “di intervenire tra i vicoli di Napoli, di garantire un futuro ai nostri figli. Per me lo Stato è processi, forze dell’ordine, provvedimenti restrittivi. E ho sempre perso con lo Stato, anche quando scoppiò il caso della rimozione del Murale dedicato a mio figlio: lo hanno tolto, lo Stato ha vinto, ma io vedo ancora tanti ragazzi armati in giro”.
Mentre le indagini proseguono, gli inquirenti hanno deciso il fermo per i reati di porto d’arma illegale e per ricettazione e, contestualmente, hanno indagato per omicidio colposo Renato Benedetto Caiafa, che continua a ripetere la sua versione.
“È stata una disgrazia, la pistola l’ho trovata appoggiata sulla ruota di una macchina parcheggiata, non ne avevo mai maneggiata una”, riporta il suo avvocato, Annalisa Recano. “Che guaio ho combinato. Non pensavo che fosse vera, non avevo mai visto una pistola prima. Stavamo giocando. Ho capito tutto solo quando ho visto il sangue sul corpo di Arcangelo. Non volevo, non volevo”.
Sarebbe stato lo stesso Renato Caiafa a portare il cugino Arcangelo all’ospedale Vecchio Pellegrino della città, chiamato “l’ospedale degli sparati”, per poi fuggire e successivamente recarsi spontaneamente in Questura a raccontare la vicenda, accompagnato da una zia. È indagato anche un minorenne che era presente con i due ragazzi al momento della tragedia.
I rilievi della polizia hanno permesso anche di trovare l’arma del delitto, una pistola Beretta calibro 9×21.
Chi era Arcangelo Correra
Arcangelo era il cugino di Luigi Caiafa, 17enne ucciso da un agente della Squadra mobile di Napoli nel corso di una rapina, la notte del 4 ottobre 2020, in pieno centro a Napoli. Caiafa insieme con un complice, aveva puntato due ragazzi a piedi tra va Duomo e via Marina, ma in quel momento passavano degli agenti in borghese. Estrasse una pistola ‘giocattolo’, ma priva del tappo rosso e uno degli agenti sparò, uccidendolo. Caiafa era in compagnia di Ciro De Tommaso, 18 anni, figlio di Gennaro De Tommaso, detto ‘Genny ‘a carogna’.
Qualche mese più tardi – era la fine del mese di dicembre del 2020 – in un agguato perse la vita anche il padre del baby rapinatore, Ciro Caiafa, 40 anni. L’agguato avvenne in via Sedil Capuano, nella stessa zona dove ha perso la vita Arcangelo (Angelo) Correra. Ciro Caiafa fu ucciso a colpi di pistola, morì poco dopo il suo arrivo nell’ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli.
Arcangelo è il terzo ragazzo ucciso tra Napoli e provincia in 17 giorni
Le reazioni
Geolier: “Ancora un’altra vittima… ancora un’altra volta “BASTA”
Così come per Santo Romano, Geolier ha commentato sui social quest’altra tragedia: “Terra mia il tuo popolo ti sta umiliando a colpi di pistola” ha scritto su Instagram.
Saviano: “Giovani con aspirazioni da criminali ma non anime perse. Questi omicidi dimostrano fallimento completo modello Caivano”
“Non sono anime perse né mostri: vogliono diventare ricchi, essere carismatici e questo, in alcune realtà di prossimità con la criminalità organizzata, te lo concede essere un criminale”. Dice lo scrittore Roberto Saviano in merito all’omicidio di Arcangelo, commentando le morti di tre giovanissimi nel giro di poco tempo, avvenute tra Napoli e provincia.
Saviano parla di “realtà” come quelle di Napoli, “città con il più alto numero di armi d’Europa” e di “prossimità con la camorra”, in cui “la strada della pistola ti tenta e che molti intraprendono”. “La camorra è parte della loro vita e la camorra stessa che lo permette, lo alimenta, lo usa: entrano ed escono dal sostengo delle famiglie o sopravvivono con le rapine che sono permesse dalle famiglie”.
“Anche quando si è apparentemente lontani da una situazione camorristica, cioè quando non si hanno genitori fratelli o cugini affiliati – la promiscuità è tale che i camorristi diventano comunque i riferimenti di crescita di questi ragazzini che non possono agire senza autorizzazione: dalle rapine allo spaccio sono autorizzati quando non sono proprio delle paranze fondate dalla camorra”. “Il completo fallimento del modello Caivano, sbandierato dal Governo, si vede in questi omicidi” dice ancora Saviano: “Queste non sono faide decretate da famiglie di camorra”.
Don Patriciello risponde a Saviano: “Falso. Meloni l’unica ad accogliere il mio invito di venire a Caivano”
“Roberto Saviano scrive che ‘Gli omicidi dimostrano il fallimento completo del modello Caivano’. Falso”. In un lungo post su Facebook, don Maurizio Patriciello, parroco del Parco verde di Caivano, hinterland a nord di Napoli, risponde a Roberto Saviano.
“Caro Roberto, sono passati quasi 20 anni da quando – sconosciuto giornalista – venisti al Parco Verde per scrivere dell’omicidio di un nostro ragazzo di 15 anni. Quel racconto finì nel tuo libro Gomorra – scrive don Patriciello – Da allora – lo sai bene – ti ho invitato tante volte a ritornare. A dare voce alle nostre voci. Non lo hai mai fatto. Non sei mai venuto”.Un invito, che, ricorda il parroco, è stato accolto dalla premier Giorgia Meloni, “un merito che altri, prima di lei, non hanno voluto o potuto prendersi. La verità è limpida come l’acqua di sorgente”. “No, Roberto, gli ultimi omicidi non dimostrano affatto il completo fallimento del modello Caivano, ma sono il frutto avvelenato e velenoso di decenni di disattenzione verso il dramma della camorra, della terra dei fuochi, delle problematiche giovanili, delle nostre bistrattate periferie. Ti auguro ogni bene. E ti invito ancora una volta a ritornare al ‘Parco Verde’”, sottolinea.
L’appello dello scrittore Maurizio De Giovanni
“Avere una generazione armata non è tollerabile. La città chiede aiuto”, dice Maurizio De Giovanni – è una situazione emergenziale. Per lo scrittore va avviata un’operazione culturale che ponga rimedio alle cause di questa malattia e a questo disagio”.
Intanto, mentre gli inquirenti stanno vagliando il racconto del giovane, Napoli si interroga sull’escalation di violenza, con tre ragazzi uccisi in 17 giorni. Non solo coltelli, ma pistole scacciacani che vengono modificate, fino a diventare letali.
Armi pericolose che sempre più spesso, con troppa facilità, finiscono in mano a giovanissimi. Che fare? “Siamo in guerra. E in contesti del genere occorre schierare l’esercito”, dice Emilia Galante Sorrentino, sostituto procuratore presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli. “Purtroppo, a malincuore lo dico, la città va blindata con forze dell’ordine ed esercito e non solo fino alle 24.00 perché dopo quell’ora la strada resta alla mercè di delinquenti. E poi occorrono telecamere ovunque perché vi sono diritti primari da tutelare rispetto a quello che può essere il diritto alla privacy”.
Secondo il magistrato “da un lato abbiamo una camorra 2.0 che arma anche i minorenni, confidando in una giustizia a maglie più larghe”, “dall’altro c’è il problema culturale di una mentalità camorristica che si sta diffondendo tra i giovani e che li porta a sentirsi forti”. A questo si aggiunga la “facilità enorme di procurarsi un’arma: con pochi soldi i ragazzi riescono a comprare pistole a salve su internet, che poi fabbrichette balorde fanno diventare idonee allo sparo”.
Dunque, misure forti, “ma anche modelli educativi alternativi”spiega Sorrentino. “Occorre investire nella cultura, nelle scuole, nella formazione e nel lavoro”.