Nuovi rilievi della polizia scientifica nella frazione Ferrito di Villa San Giovanni a Piale di Campo Calabro, in provincia di Reggio Calabria, luogo dove il pomeriggio del 9 agosto 1991, alle 17.20, Antonino Scopelliti, all’epoca Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, venne ucciso a bordo della sua auto, una BMW 318i.
Per la prima volta dopo 34 anni dall’omicidio, la vettura in cui perse la vita il giudice e finora rimasta nelle disponibilità dei familiari, verrà riportata sul posto per la ricostruzione di quanto accadde.
Gli accertamenti da parte del personale del Servizio Polizia Scientifica della Polizia di Stato arrivano al termine di complessi accertamenti di natura documentale e balistica condotti sull’arma in sequestro.
Tornato in Calabria per trascorrere le vacanze estive, il giudice era stato raggiunto dai sicari a bordo di una moto dopo avere trascorso la giornata al mare, venendo attinto dai colpi di un fucile calibro 12 caricato a pallettoni e rovinando in un terrapieno poco distante.
Entrato in magistratura a soli 24 anni, Scopelliti esordiva nella carriera di magistrato requirente come Pubblico Ministero presso le Procure della Repubblica di Roma e Milano, assumendo poi l’incarico di Procuratore generale presso la Corte d’appello e rappresentando, infine, la pubblica accusa presso la Corte di Cassazione, dove si occupò di maxi processi di mafia e terrorismo, tra i quali si annoverano, tra gli altri, il primo processo ‘Moro’, il sequestro dell’Achille Lauro, la Strage di Piazza Fontana e quella del Rapido 904.
Qualche settimana prima di essere ucciso era stato designato, seppur ancora informalmente, a rappresentare la Procura Generale avverso i ricorsi presentati contro la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Palermo nel dicembre 1990 nell’ambito del noto ‘Maxiprocesso contro Cosa Nostra’: ragione per la quale era stata percorsa sin da principio la pista siciliana, ipotizzandosi il coinvolgimento di esponenti di vertice di Cosa Nostra, che avrebbero operato con il nullaosta della ‘ndrangheta calabrese.
Più in particolare, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia dell’epoca misero in luce il ruolo determinante di Cosa Nostra nella definizione della seconda guerra tra cosche del reggino, così’ vantando credito presso gli opposti schieramenti. Nell’aprile del 1993, vengono quindi arrestati, in concorso con i maggiorenti della Cupola palermitana, anche i calabresi Antonino, Antonio e Giuseppe Garonfolo, esponenti di vertice dell’omonima consorteria operante a Campo Calabro (collegata ai De Stefano), nonché il noto killer della ‘ndrangheta Gino Molinetti.
Seguirono poi ben due processi istruiti presso il Tribunale di Reggio Calabria: uno contro Salvatore Riina, in concorso con sette membri della ‘Commissione’ di Cosa Nostra, e un secondo contro Bernardo Provenzano, nel quale risultavano coinvolti, tra gli altri, anche Filippo Graviano e Nitto Santapaola. Pur venendo condannati in primo grado, tutti gli imputati furono assolti dalla Corte d’Appello.
Le investigazioni, mai interrotte, hanno fatto registrare un significativo elemento di novità nell’estate del 2018, allorquando il collaboratore di giustizia Maurizio Avola si autoaccusò dell’omicidio, dichiarandosi parte del commando di fuoco che operò a Piale di Campo Calabro e facendo rinvenire agli inquirenti la presunta arma del delitto: un fucile calibro 12 di fabbricazione spagnola sotterrato nel giardino di una villetta situata nel Comune di Belpasso (CT).
Omicidio Antonino Scopelliti (Rai)
08/04/2025