Mailyn Castro Monsalvo, 30 anni, cittadina colombiana, accusata di aver ucciso e fatto a pezzi il compagno Alessandro Venier, di 35 anni, nella loro villetta di Gemona (Udine), sarà affidata a una struttura protetta di Venezia e potrà dunque uscire già oggi dal carcere. Lo ha deciso il Gip del Tribunale di Udine, Mariarosa Persico, che ha prima convalidato l’arresto. E’ stata, dunque, accolta l’istanza della difesa, patrocinata dall’avvocata Federica Tosel, che ha aveva chiesto la custodia attenuata per detenute madri di prole inferiore a un anno, prevista dalla legge in vigore dall’aprile scorso. In questo modo, la donna potrà prendersi cura della bimba avuta dalla vittima: una neonata di sei mesi. Il Gip ha convalidato anche l’arresto della suocera, Lorena Venier, di 61 anni, per la quale ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere. La donna è rinchiusa nel penitenziario di Trieste.
Lorena Venier, la madre di Alessandro Venier, 35 anni, fatto a pezzi a Gemona del Friuli, in provincia di Udine, si reca in caserma per essere interrogata, 31 luglio 2025 (Ansa)
Mailyn a suocera: “Dobbiamo ucciderlo”
“L’unico modo per fermarlo è ucciderlo”. È quanto avrebbe detto Mailyn Castro Monsalvo, la convivente di Alessandro Venier, per convincere la suocera all’assassinio del figlio. È ciò che emerge dall’udienza di convalida dell’arresto, a conferma delle dichiarazioni già rese da Lorena Venier al pm. Per questa ragione, soltanto alla 30enne colombiana, difesa dall’avvocato Federica Tosel, viene contestato anche il reato di istigazione all’omicidio, a differenza della premeditazione e delle altre aggravanti legate al vincolo di parentela, alla presenza di un minore, all’occultamento e vilipendio di cadavere, contestate a entrambe.
La difesa della 30enne ha chiesto la custodia attenuata per detenute madri di prole inferiore a un anno, prevista dalla legge. In questo modo la donna potrà prendersi cura della bimba di sei mesi avuta da Venier. Lo ha reso noto l’avvocato difensore della donna, Federica Tosel, al termine dell’udienza.
La suocera Lorena: “Crescente violenza su Mailyn”
Un crescente clima di violenza con reiterati e gravissimi episodi di maltrattamenti, tali da metterne a rischio la stessa sopravvivenza. È la situazione descritta da Lorena Venier che si viveva in casa con il figlio Alessandro, responsabile di violenze nei confronti della compagna. Lo si apprende da fonti investigative, in riferimento all’udienza di questa mattina davanti al Gip.
Da quanto trapelato, la neonata non è invece mai stata coinvolta nelle violenze, sebbene abbia ovviamente vissuto lo stato di tensione domestico.
In aula è stato anche confermato che la calce per coprire la salma era stata acquistata online prima del delitto, a riprova della premeditazione del reato.
Nel corso dell’udienza, il difensore della Venier, Giovanni De Nardo, ha chiesto per la sua assistita il beneficio degli arresti domiciliari, “avendo fornito piena confessione e riferito ogni singolo dettaglio: non c’è dunque alcun rischio di inquinamento delle prove, né di fuga, visto che le due donne avrebbero avuto tutto il tempo di rendersi irreperibili, se solo lo avessero voluto, dal giorno del delitto, venerdì 25 luglio, alla richiesta di intervento delle forze dell’ordine, che hanno fatto direttamente loro, che risale a quasi una settimana dopo”. Non ci sarebbe inoltre il rischio di reiterazione del reato.
Anche per Lorena, così come già per Mailyn Castro Monsalvo, il Gip si è riservato la decisione.
L’interrogatorio di Lorena Venier, madre della vittima: “La vita di Mailyn era in pericolo, non potevamo più attendere”
In uno dei passaggi chiave della testimonianza di Lorena Venier, la suocera della donna e madre della vittima, spiega per quale ragione, assieme alla nuora, ha deciso di uccidere il figlio Alessandro. Tesi che è stata ribadita anche questa mattina nell’udienza preliminare di fronte al Gip di Udine.
All’uscita, pur senza fornire dettagli, l’avvocato della Venier, Giovanni De Nardo, ha confermato che il movente “è da ricercarsi nelle dinamiche di famiglia, lei era molto legata a nuora e nipote”. Andare in Colombia avrebbe esposto la convivente a rischi gravissimi per la sua incolumità.
“Ho fatto una cosa mostruosa ma era necessaria. Mi rendo conto dell’enormità ma non c’erano alternative. Mailyn è la figlia femmina che non ho mai avuto“. Parole pesanti come macigni quelle pronunciate dall’infermiera di 61 anni. La donna ieri, per circa tre ore, ha parlato davanti al magistrato, spiegando nel dettaglio ciò che è accaduto la sera del 25 luglio. Una ricostruzione così circostanziata che ha portato la Procura a contestare l’aggravante della premeditazione. Sarà il gip, nell’udienza di convalida, a decidere se sarà applicata.
Il probabile movente
Il giorno dell’omicidio non sarebbe stato casuale. Il delitto è avvenuto alla vigilia della partenza per la Colombia di Alessandro, il luogo dove aveva deciso di andare a vivere. E non sarebbe partito da solo, avrebbe portato con sé la compagna e la loro bimba di 6 mesi. Una scelta non condivisa da entrambe le donne, secondo quanto riporta l’edizione friulana del Messaggero Veneto, che riferisce, al proposito, di una dichiarazione di Lorena Venier, durante l’interrogatorio: non voleva perdere Mailyn, definita con il magistrato “la figlia che non ho mai avuto” e con la quale si è cementato un sentimento di forte affetto, ricambiato. Un sentimento rafforzatosi in una alleanza stimolata da un comune sentire.

Gemona del Friuli, in provincia di Udine, 31_07_25 (ansa)
La dettagliata ricostruzione della mamma di Alessandro
Il delitto, secondo la ricostruzione fatta da Lorena Venier al pm, è avvenuto dopo lunghi mesi di dissapori e di violenze domestiche.
Secondo la dettagliatissima ricostruzione della mamma da cui scaturiscono i capi di imputazione contestati oggi nell’udienza di convalida dell’arresto, le due donne prima lo hanno narcotizzato con un farmaco sciolto in una limonata, dopodiché la mamma Lorena, che di professione è infermiera, gli ha fatto un’iniezione di insulina, perché non erano riuscite a sedarlo del tutto con il primo farmaco e l’uomo si stava risvegliando.
A quel punto, le due donne hanno cercato di soffocarlo. Non riuscendo a mani nude, la compagna ha preso i lacci delle scarpe e lo ha soffocato.
Una volta morto, è cominciata l’operazione di sezionamento del cadavere in tre parti con un utensile utilizzato per fare la legna. Quindi, è stato spostato in garage, di notte, e ricoperto di calce. Allo scopo di non destare sospetti, Venier si è recata regolarmente al lavoro fino a mercoledì sera. La donna è dipendente del Distretto sanitario ubicato all’interno dell’ospedale cittadino: nessuno dei colleghi ha nutrito sospetti. La nuora si è invece occupata della piccina, continuava a uscire con la piccola nella carrozzina.
Alessandro faceva lavori saltuari, non si occupava del sostentamento della famiglia. La sua passione era collezionare decine di pericolosi residuati bellici.

Alessandro Venier, trovato morto, fatto a pezzi, nella cantina della propria abitazione a Gemona. (Ansa)
La lite a cena è stata un pretesto
Quel venerdì sera, a cena, l’ennesima discussione. Che ora pare essere stata solo un pretesto per eseguire un piano architettato da tempo. Un disegno criminale efferato che, dopo l’omicidio, ha portate le due donne a sezionare il cadavere di Alessandro e a nasconderlo, coprendolo di calce viva.
Il ‘patto’ tra le due complici ha retto per cinque giorni, poi la mattina del 31 luglio la giovane colombiana, che dopo aver dato alla luce la bimba concepita con Alessandro ha iniziato a soffrire di depressione post partum, non ha sopportato più la pressione e, passata accanto al bidone con i resti del compagno, ha chiamato il 112 e chiesto l’intervento delle forze dell’ordine, costituendosi.