Non una ragazza ribelle e trasgressiva, ma la vittima di “un’azione barbara e inumana, compiuta in esecuzione della sua condanna a morte da parte di tutti i suoi familiari”. Questa era Saman Abbas per la Procura generale di Bologna che ha concluso la requisitoria di appello, durata un’udienza e mezza e pronunciata dalla sostituta pg Silvia Marzocchi, affiancata dalla pm di Reggio Emilia Maria Rita Pantani, chiedendo l’ergastolo con un anno di isolamento diurno per tutti e cinque i familiari imputati, riformando così l’impostazione della sentenza di primo grado.
In pratica è stato chiesto ai giudici di non fare distinzioni tra le posizioni di padre, madre, zio e cugini, uniti nel pianificare ed eseguire il delitto che ha portato a uccidere e seppellire in un casolare vicino a casa la 18enne pachistana, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 e poi ritrovata un anno e mezzo dopo, due metri sotto terra. La Procura ha duramente criticato la decisione della Corte di assise di Reggio Emilia, che a dicembre 2023 ha condannato all’ergastolo solo i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, a 14 anni lo zio Danish Hasnain e assolto i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, senza riconoscere premeditazione e motivi abietti e futili.
E ha chiesto ai giudici di emettere un giudizio capace di ricollocare “ognuno dei protagonisti della vicenda nel ruolo che i fatti oggettivi gli assegnano”. Fatti che, già di per sé, anche senza le dichiarazioni del fratello della vittima, ha sostenuto l’accusa, inchiodano i cinque parenti alle loro responsabilità. Fratello che in ogni caso la Pg Marzocchi ha voluto riabilitare, sottolineando l’attendibilità del suo racconto. Al giovane, parte civile, va restituita la posizione “di giovanissimo ragazzo a sua volta vittima degli eventi, traumatizzato e abbandonato a se stesso, privo di responsabilità, anche processuali”. Tutto differente, invece, è il ruolo dei genitori: alla Corte è stata chiesta una sentenza “che non dipinga il padre come colui che si comporta come ‘qualsiasi genitore'”, né la madre come una donna “assalita da un moto di ‘prostrazione'” ma che li descriva quali “freddi e insinceri pianificatori dell’omicidio della figlia”.
L’auspicio, infine, è per una decisione “che tolga alla povera Saman il ruolo di ragazza ribelle, trasgressiva in quanto desiderosa di una relazione sentimentale, autrice di azioni sconsiderate, sì da condurre ai genitori a ‘metterla di fronte al fatto compiuto’, quasi come fosse in suo potere evitare la sua morte”. I suoi ultimi giorni di vita “sono vissuti all’interno di una recita, nell’inganno ordito alle sue spalle, nella finzione di serenità e affetto che nasconde il programma di ucciderla”. Dopo l’accusa hanno preso la parola gli avvocati di parte civile. Nelle prossime udienze, il 16 e il 18 aprile, prima del verdetto, toccherà ai difensori degli imputati.
La madre Nazia, detenuta, dalla volta scorsa ha rinunciato a comparire e assente oggi anche il cugino Ikram, a piede libero. Lo zio Danish è rimasto a lungo impassibile, mentre il padre, Shabbar, ogni volta che veniva nominato dalla rappresentante della Procura ha scosso il capo, replicando qualcosa a bassa voce all’interprete che gli traduceva il contenuto della requisitoria.