Dopo l’ormai celebre sfida di tennistavolo del 14 aprile 1971, quella in cui gli atleti americani sbarcarono a Pechino per sfidare un team cinese nel nome della diplomazia per il disgelo Usa-Cina arriva quello ‘formato basket’. Dopo sei anni l’Nba è tornata in Cina, con le partite di precampionato giocate a Macao in ottobre tra i Brooklyn Nets e i Phoenix Suns. Nel contesto delle tensioni commerciali e della guerra tecnologica tra Washington e Pechino, il ritorno del basket Usa è stato un gesto di normalizzazione che ha in qualche modo anticipato l’incontro di qualche giorno fa tra Donald Trump e Xi Jinping.
Un evento di grande importanza simbolica perché ha sancito la ripresa ufficiale dei rapporti tra Cina e Nba, ma non solo, dopo il grande gelo cominciato nel 2019 Giusto sei anni fa, un tweet di Daryl Morey (allora general manager degli Houston Rockets, la squadra di Yao Ming) a sostegno dei manifestanti di Hong Kong aveva scatenato una tempesta diplomatica ed economica, cancellando partite e sospendendo accordi milionari in corso tra il mondo Nba e il colosso asiatico.
Lo sport, però, non ha confini, scrive il francese Le Monde, che ricorda come la lega americana non abbia mai del tutto abbandonato il mercato cinese: con la mediazione di Joseph Tsai, presidente di Alibaba e proprietario dei Brooklyn Nets, e della famiglia Adelson, strettamente legata a Trump, la Nba ha orchestrato un ritorno graduale.
Pechino ci guadagna: la ripresa delle partite sostiene il consumo interno e rafforza l’immagine di apertura del Paese. Lo ha confermato anche il clamore suscitato dalla visita estiva di Victor Wembanyama in un tempio shaolin nel Henan, ampiamente riportata dai media locali.
Con un numero di appassionati fra i 300 e i 450 milioni, il basket in Cina supera anche il calcio, che sta attraversando un momento di crisi. Nel 2024, secondo S&P Global, il 52% dei cinesi aveva seguito una partita Nba, contro il 23% negli Stati Uniti e il 10% in Europa. Già nel 1979 i Washington Bullets avevano giocato contro squadre locali e con una selezione di Ningbo, nel tentativo di normalizzare le relazioni diplomatiche iniziate da Deng Xiaoping.
Le Monde ricorda che David Stern (patron dell’Nba) cedette nel 1985 i diritti di trasmissione alla CCTV. “Era l’epoca benedetta di Michael Jordan e Magic Johnson. Molti cinesi smettevano di lavorare per vederli in tv”, ha spiegato ChrisPetersen-Clausen, documentarista a Shanghai. Wang Zhizhi e poi Yao Ming portarono il sogno americano oltre la Muraglia, spesso cedendo una parte dei loro stipendi alle autorità cinesi. Nel2025, Yang Hansen, ventenne e unico cinese in Nba dal 2019, ha visto la sua prima partita celebrata dalle pagine di China Daily. A Pechino, a Wangfujing, c’è il Nba Store più grande al mondo fuori dagli Stati Uniti, Le Bron James ha il suo santuario: statue, fotografie a grandezza naturale, maglie e sneakers da collezione. Gli studenti cinesi, prima di esplorare le università di Tsinghua o Pechino, fanno tappa lì. “A volte la Nba in Cina sembra solo un altro marchio di abbigliamento di moda”, ha ammesso Petersen-Clausen.
L’ultima partita di Hangzhou ha visto i biglietti da 228 euro sparire in quattro secondi, un “grande intrattenimento sportivo che sa riunire il mare blu e il mare rosso”, come annunciava l’organizzatore. Un ponte fra due colossi mondiali ma che andrà gestito con attenzione, come sottolinea la Cnn, riportando il parere di un esperto: “C’è un disgelo ma un passo falso di un giocatore o un coach, un’osservazione superficiale come quella fatta da Morey, potrebbe riaccendere delle tensioni”, ha detto il prof. Paul Argenti, della ‘Tuck school of business’ di Dartmouth.
