A pochi giorni dalla celebrazione del 33esimo anniversario della strage di via D’Amelio, in cui morirono per mano mafiosa il giudice Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, la borsa porta documenti che il magistrato aveva con sè anche quel 19 luglio è stata esposta, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al centro del “transatlantico” di Montecitorio. Presenti all’evento, fortemente voluto dalla Commissione parlamentare Antimafia presieduta da Chiara Colosimo, sono stati anche i presidenti di Senato e Camera, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, e la premier Giorgia Meloni.
Insieme a loro c’erano due dei figli di Paolo Borsellino, Lucia e Manfredi; e Manuela Canale, figlia del tenente colonnello Carmelo Canale che fu tra i più stretti collaboratori del magistrato, a cui la famiglia Borsellino ha donato proprio la borsa. A ricordare l’effetto emotivamente dirompente di quella strage è stata la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha ricordato come “dopo il sacrificio di Paolo Borsellino è partito un movimento di popolo che per la prima volta ha detto visibilmente no alla violenza, al ricatto, all’omertà a cui la mafia avrebbe voluto condannare l’Italia. La reazione – ha osservato la premier – è stata una grande sottovalutazione di Cosa Nostra: milioni di italiani hanno preferito l’impegno all’indifferenza, il dovere all’ignavia, hanno scelto l’onore e la nazione contro il finto onore di chi si proclama uomo d’onore”. Meloni ha anche ricordato come il popolo italiano abbia “il diritto di conoscere la verità” su via D’Amelio e sulle altre stragi di mafia, e “ogni sforzo per conoscere quella verità deve essere sostenuto. Come quello che sta portando avanti la commissione parlamentare Antimafia che con coraggio e determinazione sta lavorando in questa direzione”.
E proprio la presidente della Commissione, Chiara Colosimo, si è soffermata sull’esempio incarnato da Borsellino: “Dentro questa borsa è rimasta intatta – ha detto – come è intatto l’insegnamento di un uomo che solo ha incarnato il senso del dovere nel profondo rispetto per le istituzioni”. Del grande coraggio e della consapevolezza del giudice ha parlato il presidente della Camera Lorenzo Fontana: “Anche dopo la strage di Capaci non si è tirato indietro dinanzi a quella feroce violenza – ha detto – e ha continuato il suo lavoro da autentico servitore dello Stato”. La calda estate delle stragi di Palermo sono vive nel ricordo di Ignazio La Russa, che ha ricordato “lo sgomento” successivo all’attentato del 23 maggio, in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro: “Durante la successiva votazione del presidente della Repubblica in Parlamento – ha ricordato La Russa -, con il mio partito di allora, il Movimento sociale italiano, votammo simbolicamente proprio Paolo Borsellino, perché la nostra voleva essere l’indicazione di un uomo al di sopra delle parti, diventato un prezioso simbolo di giustizia, integrità e amore per la Patria e i cittadini”.