Raoul Bova sarebbe stato vittima di un ricatto. Gli audio tra l’attore e la 23enne modella Martina Ceretti potrebbero infatti essere stati rubati e utilizzati per tentare un’estorsione. Tanto che quella della separazione tra Raoul Bova e Rocio Munoz Morales, che all’inizio sembrava semplicemente una storia di gossip, rischia di arrivare nelle aule di tribunale. La Procura di Roma, infatti, secondo Repubblica ha aperto un’inchiesta per tentata estorsione.
Tutto comincia qualche settimana fa, quando sul cellulare di Bova arriva un messaggio da un numero sconosciuto. Il mittente avvisa l’attore che alcune sue conversazioni intime, che sarebbero state indirizzate alla modella e influencer Martina Ceretti, potrebbero essere diffuse, danneggiandolo. Nessuna richiesta esplicita di denaro – riferisce il quotidiano – ma il senso è chiaro. Bova non risponde. Qualche giorno dopo, il 21 luglio, le chat vengono divulgate da Fabrizio Corona, nel suo podcast Falsissimo. La procura apre un’inchiesta e affida le indagini alla polizia postale coordinate dal pm Eliana Dolce. Il numero da cui è partito il tentato ricatto risulta intestato a un prestanome. Gli investigatori lavorano per risalire a chi lo ha usato davvero. Corona, già condannato in passato per estorsioni, non è indagato. Il fascicolo è contro ignoti. Ma i pm valutano anche l’ipotesi della ricettazione.
Rischia così di avere ulteriori strascichi giudiziari un caso che investe anche la vita privata di Bova e della compagna, Rocio Munoz Morales. Nei giorni scorsi il legale dell’attore, David Leggi, aveva precisato: “Raoul e Rocìo, che non hanno mai contratto matrimonio, sono separati di fatto da molto tempo e si alternano nell’accudimento e nella cura delle due figlie. Siamo in attesa di indicazioni della signora Morales per poter formalizzare, anche in tribunale, una realtà già nota e indiscutibile. In ordine al materiale illecito diffuso sul web su presunte affermazioni e frequentazioni del mio assistito, sono in corso accertamenti da parte della magistratura penale, che indaga sui diversi reati ipotizzabili a carico delle varie persone coinvolte. Il credere a coloro che, senza avere la certezza del vero e per meri fini di lucro, non esitano a travolgere l’esistenza altrui, dimentica il rispetto dovuto ai 4 figli, totalmente trascurati da chiunque abbia la responsabilità di aver voluto spargere questo fango mediatico”.
Affermazioni alle quali ha replicato, attraverso il Corriere della Sera, il legale dell’attrice, Antonio Conte: “La signora Rocío Morales Muñoz, che mi ha conferito mandato di tutelarla in ogni sede, nega decisamente quanto affermato dal signor Bova, tramite il proprio legale. È assolutamente falso che vi sia una separazione di fatto, risalente addirittura a molto tempo prima, così come è falso che vi sia un qualsiasi accordo. La mia cliente ha appreso, come tutti, dai media quanto accaduto nelle ultime ore riguardo alla nota vicenda che ha visto protagonista il signor Bova. La signora Rocío Morales Muñoz è rimasta senza parole e ha una sola volontà: proteggere le proprie bambine da questo tanto improvviso quanto doloroso clamore”. Bova e Munoz Morales sono genitori di Luna, nata nel 2015, e Alma, del 2018.
Ufficio Garante Privacy: “Su caso Bova, rischio maxi-sanzioni”
“E’ vietato pubblicare e condividere colloqui privati” e “chi subisce un illecito da privacy può rivolgersi al giudice penale, come ha fatto l’attore, o al Garante, che applicherà sanzioni amministrative”: lo ha spiegato Guido Scorza, membro del collegio del Garante della privacy, in un’intervista a Repubblica sul caso degli audio e dei messaggini di Raoul Bova alla modella 23enne Martina Ceretti diffusi da Fabrizio Corona.
In caso di ricorso al Garante, “chi subisce il danno presenta un reclamo”, ha precisato Scorza, “vengono poi effettuate le verifiche, sentite le parti in causa, viene dato il diritto all’accusato di difendersi”.
“Nel caso di un illecito il Garante puo’ applicare una sanzione pecuniaria, che in un caso come questo corrispondera’ o al 2-4 per cento del fatturato annuo, o a un ammontare fino a 10-20 milioni (mentre nel caso di privati, la sanzione è commisurata al fatturato dichiarato)”, ha aggiunto, “e può proporre un provvedimento correttivo”.
“La maggior parte dell’attività del Garante si svolge su istanza di parte”, ha ricordato Scorza, “noi possiamo chiedere al privato o alla piattaforma su cui il contenuto è stato pubblicato di rimuoverlo. Ma non c’è modo di controllare il ‘repost’, la rete di diffusione del materiale. E’ vero che c’è una perdita di controllo in tal senso. Pensiamo al ‘revenge porn’ o in generale alla pubblicazione di immagini sessualmente esplicite. Per questo motivo, l’intervento del Garante è spesso preventivo. In genere, se c’è il sospetto che l’illecito possa essere commesso, viene generato quello che in gergo si chiama ‘hash’: un codice alfanumerico che rende il video irriconoscibile e che verrà utilizzato dalla piattaforma per bloccare il contenuto”.
Cosa rischia chi riposta contenuti illeciti? “Chi riposta non commette reato, ma un illecito da privacy, cioè un illecito amministrativo. E’ simile a quello che farebbe un giudice civile. La questione però va oltre le sanzioni applicabili: quando sui social contribuisci a diffondere materiale non consensuale, spesso ti dimentichi di star parlando della vita di una persona. Per certi versi, (più che nel pettegolezzo) si entra in una dimensione da ‘gaming’. E’ importante che le persone lo capiscano”.