Con l’accusa di uccisione di animale e di aver agito con l’aggravante della crudeltà, il giudice predibattimentale del Tribunale di Avezzano ha rinviato a giudizio Andrea Leombruni, l’uomo che nella notte del 31 agosto 2023, alla periferia di San Benedetto dei Marsi, sparò colpi di fucile all’orsa Amarena, uno dei simboli del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. L’esemplare di orso bruno marsicano, specie protetta, morì poco dopo davanti all’abitazione di Leombruni; l’orsa aveva con sé due cuccioli dei quali subito dopo si persero le tracce. L’udienza dibattimentale è stata fissata al 19 gennaio 2026 alle ore 9.
Wwf si costituisce parte civile
A distanza di oltre due anni dalla tragica notte dell’uccisione dell’orsa Amarena, oggi è stato disposto il rinvio a giudizio dell’imputato e il 19 gennaio ci sarà la prima udienza dibattimentale. La morte dell’orsa Amarena segna una ferita profonda per la conservazione della specie, che oggi conta appena 50-60 individui in tutto l’Appennino. Il WWF Italia, insieme ad altre associazioni, si è costituito parte civile nel processo per ribadire l’estrema gravità di quanto accaduto. “L’uccisione di Amarena è un reato che non può essere dimenticato – sottolinea l’associazione –. Dobbiamo trasformare questo dolore in un impegno concreto per il futuro dell’orso marsicano”. La sua morte ricorda quanto sia urgente rafforzare la convivenza tra uomo e orso: ridurre drasticamente le cause di mortalità legate all’uomo, favorire l’espansione naturale della specie e costruire una cultura di rispetto attraverso l’informazione e il dialogo con le comunità locali. “Amarena rimarrà un simbolo del nostro impegno – conclude il WWF – Ogni passo che faremo per proteggere la specie sarà anche un modo per non dimenticarla”.
Enpa: soddisfatti per rinvio a giudizio
“Accogliamo con soddisfazione la notizia del rinvio a giudizio di Andrea Leombruni, responsabile della brutale uccisione dell’orsa Amarena”: è quanto dichiara l’Ente Nazionale Protezione Animali (Enpa), che si è costituito parte civile nel processo attraverso il proprio ufficio legale, rappresentato dall’avvocato Claudia Ricci. “Il provvedimento giudiziario – si legge in una nota – conferma la gravità dei reati contestati: l’aver agito con crudeltà e senza alcuna giustificazione, provocando la morte di un animale simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, madre di due cuccioli ancora non autosufficienti. L’accusa sottolinea, inoltre, che l’uccisione è aggravata dalla futilità dei motivi, rendendo l’azione ancora più intollerabile e grave”.
“Amarena non era soltanto un animale: rappresentava un patrimonio di biodiversità e il simbolo della convivenza possibile tra fauna selvatica e comunità locali. La sua morte non solo ha privato l’ecosistema di un esemplare prezioso, ma ha anche messo a rischio la sopravvivenza dei suoi piccoli” prosegue Enpa.
“Amarena non era solo un’orsa: era madre, era simbolo, era vita. È stata uccisa con un atto crudele e ingiustificabile, aggravato da futili motivi, che ha ferito non solo l’Abruzzo, ma l’intero Paese. Ora chiediamo che la giustizia sia inflessibile, perché la sua morte non sia vana e diventi un monito contro ogni forma di violenza sugli animali”. Enpa rinnova l’appello alle istituzioni affinché siano rafforzate le misure di prevenzione, vigilanza e sensibilizzazione, per evitare che simili tragedie possano ripetersi. “Amarena non potrà tornare, ma la sua vicenda deve rappresentare un punto di svolta: gli orsi marsicani, i grandi carnivori e tutti gli animali selvatici meritano rispetto e tutela assoluta”.