Decine di migliaia di manifestanti hanno bloccato le strade e occupato i ponti a Novi Sad, in Serbia, per mantenere la pressione sul governo, ancora nel mirino dopo il crollo di una pensilina nella stazione ferroviaria della città che lo scorso novembre ha fatto 15 morti. L’incidente mortale ha scatenato la rabbia popolare nei confronti della corruzione e dell’incompetenza delle autorità. Da qui è nata una serie di proteste di massa che hanno scosso il Paese, spingendo martedì scorso alle dimissioni il premier Milos Vucevic. Il capo di governo è stato costretto a cedere dopo il blocco di 24 ore di un importante incrocio del traffico di Belgrado, preceduto nei giorni precedenti da uno sciopero generale che ha visto scuole e negozi chiusi in tutto il Paese.
Gli studenti universitari, che per settimane hanno bloccato i campus in tutto il Paese, sono emersi come i leader del movimento di protesta. In vista della manifestazione di oggi a Novi Sad centinaia di loro sono partiti giovedì dalla capitale, con una marcia di due giorni attraverso villaggi e città per 80 chilometri. Arrivati nella seconda città della Serbia, si sono uniti alle decine di migliaia di persone in marcia con bandiere e cartelli e slogan anticorruzione, bloccando le strade e occupando i tre ponti principali della città.
Nelle ultime settimane sono aumentate le tensioni, con episodi di violenza scoppiati durante alcune proteste. Gli studenti hanno accusato teppisti filogovernativi di aver preso di mira le manifestazioni. Il presidente Aleksandar Vucic e altri funzionari governativi hanno oscillato tra l’invocazione di colloqui e l’accusa che i dimostranti siano sostenuti da potenze straniere.
Per sedare le proteste, l’esecutivo ha cercato di soddisfare diverse richieste degli studenti, tra cui la pubblicazione di una serie di documenti relativi ai lavori di ristrutturazione della stazione, la grazia per i dimostranti arrestati, l’aumento dei finanziamenti per l’istruzione superiore e l’avvio di procedimenti penali contro i sospettati accusati di aver attaccato i dimostranti. Ma potrebbe non essere sufficiente: “È diventato un movimento più ampio in cui vengono richiesti cambiamenti più profondi e sistemici” ha commentato Bojan Klacar, direttore del CeSID, un’organizzazione che monitora le elezioni in Serbia.