
La corte di appello di Firenze ha confermato la condanna dei cinque poliziotti imputati nel processo bis sul rimpatrio di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako espulsa nel 2013 insieme alla figlia Alua, 6 anni. Confermata la sentenza di condanna del primo grado a Perugia ma con parziale riforma dell’interdizione dai pubblici uffici da perpetua a 5 anni.
L’accusa è di sequestro di persona in relazione a irregolarità nelle procedure di espulsione. Il pg di Firenze Luigi Bocciolini aveva chiesto l’assoluzione. La parte civile aveva chiesto la condanna per tutti e il risarcimento.
Le vicende processuali
Nel 2014 iniziò il processo a Perugia, dove furono rinviati a giudizio cinque funzionari di polizia tra cui l’ex capo della squadra mobile Renato Cortese e il dirigente dell’ufficio immigrazione Maurizio Improta. Nel primo grado di giudizio furono condannati con pena da 4 a 5 anni per sequestro di persona e interdizione dai pubblici uffici.
In appello a Perugia gli imputati vennero assolti con formula piena, con la motivazione che “il fatto non sussiste”. Successivamente la Cassazione annulla l’assoluzione e dispone un nuovo processo.
Nel processo bis a Firenze la Corte d’Appello conferma le condanne di primo grado per cinque poliziotti, con pene tra 4 e 5 anni, considerando l’operazione una violazione dei diritti umani e un sequestro di persona. Viene tuttavia ridotta da perpetua a 5 anni l’interdizione dai pubblici uffici.
Il “rapimento di Stato” e l’asilo politico nel 2024
L’espulsione forzata nel 2013 dall’Italia di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako, Mukhtar Ablyazov, e della loro figlia di 6 anni, Alua, fu al centro delle cronache di 15 anni fa. La donna fu prelevata con violenza presso la sua abitazione a Roma, accusata di possesso di passaporto falso, e rimpatriata insieme alla figlia senza che fosse riconosciuto il diritto di asilo, nonostante avesse richiesto protezione politica per il rischio di persecuzione in Kazakistan.
La vicenda è stata definita un “rapimento di Stato” dai giudici italiani, che hanno condannato i funzionari di polizia coinvolti per sequestro di persona, evidenziando una collaborazione con le autorità kazake per favorire la cattura del marito dissidente. Alma e la figlia sono poi riuscite a tornare in Italia, dove a lei è stato riconosciuto l’asilo politico nel 2014.
Sindacato polizia Coisp: “Sentenza colpisce servitori dello Stato”
“Il giorno in cui cinque servitori dello Stato vengono condannati senza che venga riconosciuta la complessità e la gravità del contesto in cui hanno operato, è un giorno che aggiunge una ferita alla Polizia di Stato”. Così Domenico Pianese, segretario del sindacato di polizia Coisp, commentando la sentenza della Corte di appello di Firenze.
Si tratta, secondo Pianese, di “una decisione che rispettiamo, ma che non possiamo fingere di non vedere per ciò che rappresenta, ovvero l’ennesima sentenza che guarda alla superficie e non al quadro reale. Quella del caso Shalabayeva è stata un’operazione gestita in poche ore nel rispetto delle ordinarie procedure. Quei poliziotti sono stati chiamati ad agire e hanno agito, adempiendo al proprio dovere in un contesto operativo estremamente complesso. Il punto è che oggi, dieci anni dopo, vengono condannati come se fossero stati loro i decisori, mentre chi ha avuto responsabilità di livello superiore liquida tutto parlando di ‘irregolarità procedurale’ ,come fosse un semplice inciampo burocratico”.
“Resteremo accanto ai nostri colleghi e non per spirito corporativo, ma perché la verità processuale non può cancellare la verità operativa. Ed è quest’ultima, troppo spesso, a non entrare nei verdetti”, conclude.