Non è la prima volta che Elia Del Grande scrive al giornale di notizie locale Varesenews. Ma questa volta lo ha fatto da ricercato.
L’uomo è fuggito il 2 novembre dalla casa-lavoro di Castelfranco Emilia, dove si trovava dopo aver scontato 25 anni di carcere per aver ucciso i genitori e il fratello.
Nella lettera spiega e si sfoga: “Il mio gesto è dovuto alla totale inadeguatezza che ancora incredibilmente sopravvive in certi istituti, come le case lavoro, che dovrebbero tendere a ri-socializzare e reinserire con il lavoro, per l’appunto cosa che non esiste affatto”.
Del Grande sostiene che oggi le case lavoro sono paragonabili ai vecchi ospedali psichiatrici giudiziari: “Mi sono trovato ad avere a che fare ogni giorno con gente con serie patologie psichiatriche (…) L’attività lavorativa esistente è identica a quella dei regimi carcerari. Le case di lavoro oggi sono delle carceri effettive in piena regola con sbarre cancelli e polizia penitenziaria (…) Con la piccola differenza che chi è sottoposto alla casa di lavoro non è un detenuto, bensì un internato”.
Del Grande ricorda le conquiste della libertà conquistata e poi persa: “Avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un ottimo lavoro (…) che oggi mi hanno fatto perdere senza il minimo scrupolo, mi riferisco alla magistratura di sorveglianza”, ancora: “Avevo ritrovato una compagna, un equilibrio, i pranzi, le cene, il pagare le bollette le regole della società, tutto questo svanito nel nulla per la decisione di un magistrato di Sorveglianza, che mi ha nuovamente rinchiuso facendomi fare almeno mille passi indietro”.
Poi conclude, riferendosi alla sua fuga come ad un “semplice allontanamento”: “Oggi tutte le cronache mi definiscono come il serial killer, il pazzo assassino che è sfuggito senza la minima remora e controllo, additandomi di tutte le cose del passato senza informarsi prima su cosa ho fatto da quando sono stato scarcerato il 16 luglio 2023, questo e molto altro mi hanno spinto a provare il tutto per tutto pur di uscire da quella situazione alla quale non riuscivo assolutamente ad abituarmi e a prenderne consapevolezza nonostante tutti i carceri che io abbia girato».
