Nel giorno della seconda udienza del processo a carico dell’ex comandante della polizia locale di Anzola, Giampiero Gualandi, 63 anni, accusato dell’omicidio della giovane collega Sofia Stefani, 33 anni, hanno parlato i due testimoni.
L’impiegato: “Mi disse dì che è partito un colpo”
“A un certo punto sentimmo un tonfo. Ci guardammo, il tempo di guardarci e di dirigerci verso il corridoio e Gualandi uscì dal suo ufficio col cellulare in mano, era al telefono con il 118 e mi disse di chiamare il 112. Io mi affacciai e vidi la Stefani a terra nell’ufficio, e chiesi a Gualandi cosa dovevo dire. Lui mi disse: ‘Dì che è partito un colpo‘. E io chiamai i carabinieri col mio cellulare e dissi così”.
È il racconto di quello che successe il pomeriggio del 16 maggio 2024 nel comando della polizia locale di Anzola Emilia (Bologna) fatto da Michele Zampino, impiegato amministrativo, una delle due persone presenti oltre all’imputato, l’ex comandante Giampiero Gualandi e alla vittima, Sofia Stefani.
L’altra persona era la sovrintendente della polizia locale Catia Bucci. Zampino ha riferito quello che ricorda testimoniando davanti alla Corte di assise di Bologna, nel processo per l’omicidio della vigilessa 33enne, uccisa da un colpo partito dalla pistola di ordinanza di Gualandi e sparato mentre i due si trovavano chiusi nell’ufficio di lui.
I testimoni: “Non eravamo al corrente della relazione tra i due”
In mattinata è stata sentita anche Bucci ed entrambi i testimoni hanno riferito di non essere al corrente della relazione sentimentale tra Gualandi e Stefani, ma Bucci ha spiegato che spesso la donna veniva nell’ufficio a incontrare Gualandi: “Una o due volte alla settimana era lì. Pensavamo che lui come sindacalista stesse aiutando lei, che era stata licenziata”, ha aggiunto la testimone.
Bucci ha detto anche che il 16 maggio 2024 si accorse della presenza di Stefani quando uscì dal bagno e sentì la voce di lei nell’ufficio. “Sentii una voce femminile, riconobbi la voce. Aveva un tono normale, non sentii grida”. Da quando uscì dal bagno a quando si udì lo sparo passarono circa due minuti, ha spiegato. La testimone ha detto anche di aver sentito, in precedenza quel giorno, “armeggiare nell’armeria” e che l’unico che poteva essere stato a farlo era Gualandi. Anche qualche giorno prima lo stesso Gualandi aveva preso la pistola dall’armeria, dicendo che doveva pulirla.
“Gualandi spostò subito il caricatore”
A testimoniare anche un appuntato dei carabinieri, Giuseppe Di Pasquale, il primo a intervenire sulla scena del crimine.
Appena entrato, l’appuntato vide Gualandi in piedi sulla vittima, con le gambe divaricate e le mani premute sul petto. “Gualandi guardava verso di me, ci guardammo, si alzò e mi disse che stava facendo il massaggio”, racconta Di Pasquale. Poi “l’ho fatto uscire dalla stanza, c’è stato un momento caotico e mi chiese se poteva andare in bagno. Gli dissi n’va bene’ e lui entrò nel bagno attiguo al suo ufficio, aprì subito il rubinetto e si lavò le mani. Erano sporche di sangue, non eccessivamente”.
L’appuntato ha riferito anche di aver visto la pistola sulla scrivania: “Quando mi frapposi tra Gualandi e l’arma lui prese il caricatore, disinserito, e lo appoggiò su una cassettina di legno con scritto ‘pulizia armi’. L’unica cosa modificata sulla scena è stata quella”, ha detto il carabiniere, che ha descritto l’imputato come “freddo”, “non aveva reazioni: l’unica frase che mi disse fu quella sul massaggio”, ha spiegato.
Nell’aula è stato proiettato anche il video che lo stesso carabiniere girò con il suo cellulare, appena arrivato, “per cristalizzare la situazione”. Anche i genitori della vittima hanno assistito alla proiezione, a fianco del loro difensore, avvocato Andrea Speranzoni, dopo che la procuratrice aggiunta Lucia Russo li aveva avvisati del fatto che si sarebbe visto anche il cadavere della figlia e che, se ritenevano, potevano uscire dall’aula.
Tra imputato e vittima un contratto di sottomissione sessuale
Tra Giampiero Gualandi, 63 anni, accusato dell’omicidio della giovane collega, e Sofia Stefani, 33 anni, è emerso che avrebbero firmato un “contratto di sottomissione sessuale”. Nel documento Gualandi si “autodefiniva padrone, colui che tutto può sulla sua schiava”.
“Nel contratto di sottomissione sottoscritto il 18 maggio 2023, contenuto in una pennetta USB, tra il Supremo (Gualandi) e la Schiava (Stefani) di chiara natura sessuale, si legge ‘Io signore e padrone, mi impegno a dominare l’anima della mia sottomessa, divorandola a mio piacimento” – è stato riferito in aula.
L’avvocato della difesa, ha definito il contratto “un gioco” e un riferimento al libro – e film – ‘Cinquanta sfumature di grigio’, fenomeno di massa, e poi – ha detto – “non si può dare un giudizio sulla vita sessuale degli adulti. Segnalo che dalla copia forense del telefonino della Stefani su ricerca di siti la tematica interessava alla Stefani, per cui presento la copia del contratto di sottomissione. Chiediamo l’esame di tutti i testi in lista”.
“Ci sono siti Bdsm da cui si possono scaricare contratti di questo tipo. Era un gioco, non ha nessuna validità, nessuna efficacia giuridica, nessuna possibilità di condizionare comportamenti. Nella vita sessuale gli adulti possono fare quello che vogliono“, ha detto ancora, replicando alle affermazioni della pubblica accusa che ha citato il “contratto di sottomissione sessuale” firmato dall’imputato e dalla vittima il 18 maggio 2023, circa un anno prima dell’omicidio. Anche l’altro difensore di Gualandi ha avvisato la Corte di assise, rivolgendosi ai giudici, di fare attenzione “a chiunque cerchi di tirarvi per la giacca su pregiudizi di tipo morale”.
“In quel contratto i protagonisti sono un comandante e un agente, si colloca tutto nel contesto lavorativo di Sofia Stefani”, ha ribattuto poi l’avvocato Andrea Speranzoni, difensore di parte civile per i genitori della vittima.
Sofia Stefani è stata uccisa il 16 maggio 2024 negli uffici del comando della Polizia locale di Anzola, con un colpo allo zigomo partito dalla pistola di ordinanza di Gualandi. L’ex comandante, per la prima volta presente in aula, assistito dei suoi difensori, avvocati Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli, si è sempre difeso dicendo che è stato un incidente, uno sparo per sbaglio durante una colluttazione. “Ma come si vedrà dalle consulenzetecniche – ha detto sul punto la pm Russo intervenendo nell’aula della Corte di assise per sostenere le richieste di prove nel processo – sull’arma non sono state trovate tracce né biologiche né dattiloscopiche di lei, ma solo dell’imputato”.
Procura: “Prigioniero di un castello di menzogne”
“Nei concitati giorni che portarono all’omicidio, Gualandi si trovava prigioniero di un castello di menzogne da lui stesso costruito”, ha continuato la procuratrice aggiunta di Bologna ricostruendo “la tormentata relazione”, “fortemente squilibrata per l’età e per la vulnerabilità della Stefani” e ne ha ripercorso la “ciclica altalenanza” di momenti di quiete e tensione, “fino al tragico epilogo”.
Un rapporto che si interruppe per pochi giorni a fine aprile 2024, a seguito della casuale scoperta della moglie di Gualandi, ma l’uomo, ha detto la pm, invece che ammettere i fatti e assumersi le proprie responsabilità si inventò che era conclusa da tempo e che era la giovane donna che continuava a perseguitarlo. Secondo la Procura la relazione riprese a pochi giorni di distanza, “nella piena inconsapevolezza della moglie”. “Nella fase che precede l’omicidio, Gualandi assume comportamenti di assoluta doppiezza, mandando alla Stefani messaggi confermativi del rapporto affettivo e sessuale mentre alla moglie, negli stessi minuti, scriveva di essere tormentato da Stefani”. In questo senso sarebbe quindi stato prigioniero del “castello di menzogne”.