Nelle motivazioni dei giudici di Milano viene evidenziato il “rischio reale di trattamento inumano e degradante”, la “fondatezza dei timori di reali rischi di violazione dei diritti fondamentali” nelle carceri ungheresi.
La Corte d’Appello ha elencato le condizioni degli istituti di pena del paese: sovraffollamento, presenza di “cimici”, la possibilità di “una sola doccia a settimana”, “carenza dei servizi essenziali”, acqua “solamente fredda”. Elementi emersi da un report sullo stato delle carceri ungheresi relativo al 2018, l’ultimo disponibile.
Una situazione non certo agevolata dall’assenza della comunicazione da parte delle autorità ungheresi su quale sarebbe stato il carcere di destinazione del 23enne. “Non rassicura la consapevole scelta dello Stato di non fornire informazioni sull’istituto di pena nel quale l’indagato sarebbe tenuto in detenzione”, scrivono i giudici, evidenziando che “l’amministrazione penitenziaria ungherese ha affermato l’irrilevanza dell’individuazione dell’istituto o istituti carcerari”.
Marchesi avrebbe rischiato una “pena elevata” a fronte di un’accusa per lesioni giudicate ‘aggravate’ ma guaribili “in 4-5 giorni”.