Una strana torre di cemento che sembra uscita da un cartone animato è spuntata tra i grattacieli di Tokyo e sta diventando un nuovo punto di riferimento nella mappa delle cose da vedere nella capitale giapponese.
E dietro al progetto c’è una filosofia di vita. Lo racconta all’Afp Keisuke Oka che ha creato l’Arimaston Building, disegnando e costruendo man mano di persona i quattro piani del caratteristico edificio: “Una volta si diceva che non c’erano abbastanza cose per vivere, ma ora ce ne sono troppe”, spiega il cinquantanovenne architetto: “Dobbiamo smettere di produrre in serie e trovare un altro modo, altrimenti saremo nei guai”.
Ci sono voluti 20 anni per completare la torre, ma ora Oka pensa che il suo approccio lento alla costruzione possa essere di esempio per il mondo.
Con le sue linee contorte e apparentemente instabili e gli ornamenti strani e meravigliosi, l’edificio di Oka è stato paragonato al Castello errante di Howl del film di Miyazaki, e l’architetto stesso è stato soprannominato il Gaudì di Mita, in riferimento al celebre architetto spagnolo e alla zona di Tokyo in cui si trova l’Arimaston Building.
Ispirato dalla danza butoh giapponese, Oka ha inventato il progetto man mano che procedeva seguendo il ritmo della sua creatività.
“Sono nato e cresciuto in una zona rurale del Giappone e ho sempre pensato che gli edifici delle città fossero molto tristi e privi di vita come se fossero progettati tutti al computer”.
L’Arimaston Building si trova isolato su una strada in pendenza, un fattore che lo rende ancora più suggestivo anche per il contrasto con i grattacieli sullo sfondo. L’area è in fase di ristrutturazione e le case che un tempo sorgevano accanto sono state demolite.
La riqualificazione coinvolgerà anche l’edificio di Oka che verrà spostato di 10 metri all’indietro, con un’operazione che prevede il trasporto dell’intera struttura su delle rotaie. Una volta concluso, Oka intende trasferirsi e continuare a lavorare agli ultimi ritocchi.
Oka spera che le persone, guardando la sua torre in mezzo a tutti i cambiamenti altamente tecnologici che trasformano il quartiere, riescano a capire il valore di realizzare qualcosa a mano. Dice di essersi ispirato anche a sua madre che confezionava i vestiti per la famiglia perché non potevano permettersi di comprarli.
“Più della metà dei vestiti che produciamo oggi li buttiamo via”, dice Oka, descrivendo un mondo che trabocca di cose: “Dobbiamo iniziare a produrre le cose a un ritmo più lento”.